Tale fenomeno non fu un processo indolore. Questa volta ci avvaliamo di due famosi autori della tradizione marinaresca ligure come Gio Bono Ferrari (1882 – 1942) e Tomaso Gropallo (1898 – 1977) dei quali parleremo a breve.
1926: il piroscafo “Maria Adele” dei Sanrocchini Bozzo e Mortola. Furono alcuni tra gli armatori di Camogli che operarono navi a vela prima e meccaniche dopo
La maggior parte della nostra marineria, conseguentemente agli affari armatoriali, cessò di esistere prima della Grande Guerra. In quel processo di transito tra la propulsione eolica e quella meccanica, a Camogli si mugugnò molto anche se sussisteva l’evidente percezione del miglioramento della navigazione che non era più succube delle bizzarrie meteorologiche. Può darsi che si fosse scontenti anche perché i Camogliesi avevano ben compreso che la loro intraprendenza armatoriale – così legata al nucleo famigliare e alla più semplice manutenzione dei velieri – non avrebbe avuto scampo. Basta ricordare che la sezione degli Ufficiali di Macchina fu aperta al nostro Istituto Nautico solo nel 1886. Inoltre, quelle navi moderne che operavano senza soste e onoravano spesso i loro itinerari, erano bisognose di “parti di rispetto”: come si sa, Camogli non disponeva delle strutture logistiche per sostenere quell’innovativo fabbisogno commerciale. Ma attenzione, quei commenti non erano causati dal banale rifiuto della modernità ma invece dalla sensazione di commiato ad un sistema di navigazione che aveva caratterizzato a Camogli un secolo di operosità e benessere.
Il piroveliero inglese “Croesus”, naufragato a San Fruttuoso nel 1855. Già in quegli anni la propulsione a motore “ibrida” iniziava a diffondersi
Ed eccoci ai due autori detti prima. Li citiamo poiché loro che tanto hanno scritto di Camogli e della sua tradizione, descrissero in prima persona quel commiato anzidetto facendone cenno su alcuni volumi. Li presentiamo in due aspetti differenti: la passione di Ferrari per la sua Camogli e la sistematica ricerca di Gropallo verso l’intera tradizione velica nazionale.
Scrisse Ferrari: “Il 1875 fu l’apogeo della grandezza marinara di Liguria. Poi, una piccola – ma grande cosa – costruita da uomini studiosi – comparve nella brumosa isola del Nord (Inghilterra); una cosa da nulla, ma formidabile: emetteva del fumo nero e pastoso, gli uomini la chiamarono macchina a triplice espansione.
Le candide vele di Liguria, le maestose navi di Genova che avevano dominato in tutti i mari si sentirono ferite da quel fumo denso. La bellezza aristocratica dei lindi e bianchi Alcioni soffrì di fronte al rumoreggiare degli stantuffi. Dei vapori sgraziati e antiestetici comparvero per ogni dove. Erano brutti, non avevano la poesia degli aggraziati bastimenti della Superba, ma portavano da porto a porto le stesse mercanzie con il 25% di ribasso sui noli praticati dai velieri di Mar Afuera (mare aperto).
Il Capitano camogliese Lazzaro Brigneti ai primi del Novecento, epoca d’armamento degli ultimi grandi velieri in ferro come l’Australia e l’Italia
La lotta durò a lungo, nobile ma impari, i bei velieri non volevano morire. Di quando in quando, al tempo in cui i mari erano già solcati da tanti vapori, qualche bel maestoso veliero scendeva ancora in mare dai cantieri di Liguria: erano gli ultimi, quelli che sentivano la necessità di scrivere o cantare un inno alla Vela, il canto del cigno.
E così l’Italia (Cap. Lazzaro Brigneti di Camogli), il Savoia, il Concordia, i vari Accame, le navi dei Sanrocchini Mortola ed Emanuele Bozzo, i Beverino, l’Avanti Savoia, la Saturnina Fanny, l’Australia (Cap. Lazzaro Brigneti di Camogli), navigarono ancora i mari e gli oceani in un gioioso sbandieramento di vele bianche.”
Gropallo invece individuò la doverosa continuazione di quella cultura – che altrimenti sarebbe scomparsa – nei musei (fossero essi palazzi o navi), poi nella vasta quantità di libri realizzati dalle grandi marinerie globali; non ultime le associazioni come la Società Capitani e Macchinisti Navali di Camogli oppure la celebre “Amicale Internationale des Capitaines au Long Cours Cap-Horniers”, la quale organizzò a Camogli nel 1971 il raduno dei Capitani transnazionali che avevano doppiato il famigerato capo. Quel sodalizio cessò le attività negli anni a venire, ma altre associazioni similari ne presero il posto.
1971: raduno dei Cap Horniers a Camogli
Il marchese individua poi negli anni ’50 la fine dei velieri commerciali e conclude la sua riflessione citando come “custodi” della cultura della vela anche quei monumenti dedicati a personaggi, mezzi o fatti della tradizione marinara. Camogli ha come custodi il Civico Museo Marinaro “Gio Bono Ferrari”, la raccolta dei dipinti ex-voto del Santuario di N.S. del Boschetto, il Largo “Tristan da Cunha”, il Monumento ai Naviganti scomparsi in mare, lo sciabecco/galea Ō Dragōn, che conserva parte della nostra tradizione tramite esibizioni e viaggi molto apprezzati a Camogli e all’estero.
Il Monumento ai Naviganti di Camogli
Concludendo proprio sui monumenti, sul cippo di quello eretto a Port Victoria, gli Australiani dedicarono in segno di riconoscimento all’Epoca della Vela – cioè a quel periodo che difatti completò la costruzione ed il benessere del Continente Novissimo – i seguenti versi, tratti dal componimento poetico “Ships” dell’inglese John Masefield (1878 – 1967):
(- notizie tratte da “Capitani di mare e Bastimenti di Liguria del Secolo XIX/Ponente” di Gio Bono Ferrari e da “Il romanzo della vela” di Tomaso Gropallo;
– immagini: Piroscafo Maria Adele, tratta da “Gli armatori di San Rocco di Camogli” edito dal Civ. Museo Marinaro “G.B.Ferrari”;
– Capitano Lazzaro Brigneti, tratta da “Il romanzo della vela” di T. Gropallo).=