Questo è uno scritto per chi ama le storie vere di mare, il cui racconto infonde ai lettori un senso di serena positività, ma anche l’orgoglio di far parte della stirpe dei naviganti Camogliesi.
Tristan da Cunha dal largo
Durante una ventosa alba, Gaetano Lavarello e Andrea Repetto furono svegliati di soprassalto. Qualcuno dell’isola aveva scorto una nave nella tempesta. Riuscivano appena ad individuarla: era un grande veliero la cui forma veniva nascosta a tratti dai poderosi piovaschi che si stavano abbattendo in quel remoto angolo di oceano.
I due Camogliesi si affrettarono sul lato settentrionale di Tristan da Cunha per scorgerlo meglio, ma purtroppo la nave era ormai sparita all’orizzonte, nascosta dalle ondate furibonde che la spingevano verso levante. Andrea e Gaetano erano delusi: l’impossibilità di riconoscere quella nave, forse italiana, magari con qualcuno dell’equipaggio di Camogli, causava loro un forte senso di frustrazione.
I venti sfruttati dalla “Saturnina Fanny”
Quel veliero, il celebre “Saturnina Fanny”, armato dai Bacigalupo-Raffo di Chiavari dirigeva verso l’Australia sfruttando prima l’aliseo di Nord Est e successivamente la potenza eolica dei “Roaring Forties”, i forti venti da ponente, a circa 40° di latitudine Sud. Il suo Capitano era Francesco Perasso, anch’egli di Chiavari, figlio del noto Rolando, che fu il Capitano del veliero Italia che si schiantò diciassette anni prima, nel 1892, nella costa di Tristan nel tentativo di salvarsi da un furioso incendio. Due dei suoi marinai, appunto Repetto e Lavarello, si fermarono su quel lontano territorio per iniziare due nuove stirpi.
La “Saturnina Fanny”
La Saturnina Fanny era una splendida unità, con forme filanti che le garantivano un’eccezionale velocità nell’oceano. Era stata costruita nel 1891 ed aveva una gemella, l’Australia, anch’essa velocissima. Le due navi, proprio come due sorelle, si incontrarono spesso nei loro lunghi itinerari. Appartenevano ormai a quella compagine di navi a vela che avrebbero chiuso definitivamente il periodo dell’epoca eroica, tanto che si erano ridotte a trasportare principalmente carbone australiano o nitrato, ottenuto dal guano cileno. Forse la loro grande velocità era proprio l’ultimo disperato tentativo di non soccombere nell’impari competizione con le navi a propulsione meccanica. Fu infatti significativo che il Capitano Francesco sbarcò poi nel 1910 per imbarcare definitivamente sui vapori.
Ritornando a quell’autunno del 1909, a bordo del Saturnina troviamo il Secondo, Cap. Mario Taddei, che era imbarcato all’inizio del viaggio ad Amburgo nel settembre precedente. Il veliero, quella volta, compì di fatto una “round trip”, cioè un giro completo intorno al globo del quale il Cap. Taddei registrò uno splendido resoconto, “Una vela intorno al mondo”, che è ancor oggi un richiestissimo volume (vedi Internet), scritto da un professionista, con linguaggio moderno, forse il più ricco di particolari sulle attività a bordo dei velieri di quel tempo.
Poi, giunse anche il momento d’addio della Saturnina Fanny. Affondò il giugno 1916, al largo di Barcellona. E nelle vicinanze casualmente, un mese prima era affondata la sua inseparabile sorella, l’Australia. La causa di quell’estrema e sublime concomitanza non fu chissà quale motivo romantico, ma bensì la spietata strategia di due UBoot (sommergibili) tedeschi che le affondarono, inermi e magnifiche, speriamo avvertendo prima l’equipaggio.
Il cimitero di Tristan da Cunha
A Tristan da Cunha, Andrea Repetto morì cinque anni prima, nel 1911, a 44 anni; Gaetano Lavarello vivrà sino al 1952, a 84 anni.=
(le immagini dell’isola di Tristan da Cunha sono di Sascha “Sash” Seitz che ha concesso il loro utilizzo alla Società Capitani di Camogli; l’immagine del Saturnina Fanny è tratta da uboat.net).