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Tempeste e diplomazia

La nave da crociera procedeva a stento attraverso le acque tempestose dell’Atlantico. Quell’inverno era stato particolarmente crudele con i marinai: cinque enormi “lisci e bussi” che, uno dopo l’altro, avevano massacrato le acque dalle Bermuda fino alle Azzorre. Per le navi che andavano verso l’America era un bel problema evitarle. La quinta tempesta purtroppo ci investì. Il Comandante era costantemente sul ponte di comando, aveva persino sistemato una sdraio da piscina nei pressi del radar e lì dormiva per dieci minuti quando non ne poteva più. L’Ufficiale di Guardia controllava la navigazione ed eventuali bersagli di prora, preoccupandosi ogni tanto che il marinaio libero dal timone preparasse un buon caffè per tutti.

Colpo di mare in Atlantico a bordo del piroscafo “Argentina” nel 1952 (fornita dal Socio Augusto Chiesi)

Lavoravo in plancia dalle 8 alle 12 e dalle 20 alle 24, nella cosiddetta “seconda guardia”. Ci eravamo lasciata a Nord Est l’isola di Santa Maria nelle Azzorre, quando con rotta occidentale puntavamo a stento verso New York. Il maltempo proveniva proprio da dove dirigevamo e le gonfie onde lunghe atlantiche ci costringevano a ridurre la velocità anche fino a 3 nodi (circa 5 km/h). In quella situazione saremmo arrivati a destinazione con eccessivo ritardo; i passeggeri erano già furibondi: avrebbero perso tutte le escursioni ed i voli già organizzati.
Anche il Capitano era furioso. “Tempi da cani fottono i Capitani!” – sentenziò con rabbia – mentre scagliava il suo berretto sul “carabottino” del ponte. Mi sembrava una gestualità calcolata, quasi teatrale, ma era meglio non fiatare in quelle situazioni.
“Vede” – disse con controllata  calma e riflessione – “Lei ora è giovane, ma quando diventerà Comandante, si renderà conto che nella nostra professione,  la meteorologia è una brutta bestia!”. Proseguì: “Quando ha a che fare col cattivo tempo non va mai bene! Se salti un porto perché non è sicuro entrarci, chi glielo chiarisce agli ospiti come mai un’altra nave è invece andata all’ormeggio? E poi, se si eccede in prudenza, sistematicamente le previsioni non si avverano e se invece si osa, ecco in arrivo la fregatura! E senza parlare del mare lungo che può rendere impraticabile un porto non ridossato in una splendida giornata di sole!”.
Osservavo quell’esasperato beccheggio e i conseguenti colpi di mare sotto la chiglia che facevano vibrare tutto lo scafo. Davanti, l’orizzonte che di solito è a 10 miglia (circa 18 chilometri) s’era avvicinato – indefinibile – a forse 500 metri. Pareva un inferno ed erano solo le 10 del mattino!
“Comandante!” – commentai, giusto per “rendermi utile” – “Non si possono controllare gli elementi naturali…”.
“Già…” – m’interruppe – “ma almeno si deve prevederli e gestirli nel miglior modo! Vede? Pur cambiando rotta picchiamo lo stesso! E chi glielo spiega adesso ai passeggeri che ci troviamo qui, impantanati in questo macello?”.
“Quei maledetti bollettini meteo prevedevano la perturbazione in acque più a Nord, non a questa latitudine!” – ripetè due volte, quasi spossato – “Solo che ora mi tocca andare giù nella Sala Spettacoli e spiegare cosa succede!”.
“Lei sa bene cosa potrà dire in queste situazioni!” – replicai con fermezza – “Il maltempo è un fatto naturale avverso, noi ci siamo trovati lì e stiamo facendo del nostro meglio per fronteggiare la situazione!”.
“Sì, sì, lo so!” – rispose – “Ma intanto anche lei sa che non andrà mai bene! Anche se informo gli ospiti della situazione, ci saranno comunque tanti che sono scontenti perché sono comunque penalizzati da questa tempesta, con qualcuno devono prendersela!”.
“Pensi per un momento che lo stesso possa succedere sulla costa!” – proseguì – “Sarebbe come se certi cittadini infuriati per i danni causati dalle condimeteo avverse partecipassero ad una riunione con i responsabili delle emergenze e il locale dove ha luogo l’incontro sia in costante movimento! Sarebbe una situazione insostenibile!”.

Era mezzogiorno, terminavo il mio turno sul ponte. Mi recai nella Sala Spettacoli per assistere al discorso del Comandante ai passeggeri che erano in collera per il ritardo del viaggio, per il mail di mare, ma anche per il fastidioso movimento di beccheggio che a volte si trasformava in un rollio irritante ed il tutto era accompagnato dagli impetuosi e sfibranti colpi delle onde alla nave.
“Ladies and Gentlemen!” – e qui traduco il discorso del Comandante – “Siamo dispiaciuti per questo inconveniente imprevisto!”.
Qualcuno gridò: “Lo sapevi invece, Pinocchio, Internet c’è anche a bordo!”.

Carta meteorologica inglese dell’Atlantico settentrionale

Mi sentivo a disagio per il Comandante, sapevo però che doveva mantenere il controllo, che era lui il Capo Spedizione.

“Vi anticipo fin d’ora che il tempo migliorerà!” – continuò con fermezza – “E domani riprenderemo la nostra navigazione atlantica diretti a New York come programmato! Anzi, da adesso, i bar sono aperti e… consumazioni gratis per tutti!”.
Ci fu finalmente un tripudio di consensi verso l’ufficiale che brindò sul palcoscenico e, per poco, una beccheggiata improvvisa non gli fece cadere il calice, ma ormai – per quel pomeriggio – quasi tutti gli ospiti erano dalla sua parte.

Alla sera, salii sul ponte alle 20 per il mio turno di guardia. Notai che la rotta era stata alterata decisamente verso Sud. Il Comandante era sempre lì che osservava il nulla con lo sguardo perso al vicino buio orizzonte. M’era parso di avvertire una diminuzione delle sollecitazioni allo scafo, anzi, sembrava che pure le onde “rompessero” decisamente meno.
“Ha visto?” – esordì con autorevolezza – “Il Comandante vive da solo l’ambiente della sua nave, ne sa decifrare i codici ad altri sconosciuti, quando dorme ne sente i sussurri e poi decide cosa fare!”.
“Comandante, ho notato che il tempo sta calando!” – manifestai con sincero interesse.
“Sì, sta diminuendo e i passeggeri l’hanno già avvertito!” – commentò pacatamente – “Ho ricevuto un messaggio da una nave più a Sud: mi ha avvisato che lì il tempo è buono, per questo stiamo dirigendo a quella bassa latitudine e poi continueremo ad Ovest fino a New York!”.
Sembrava più rilassato, forse perché aveva un occhio sul solcometro (indicatore di velocità) che marcava già 8 nodi (circa 15 km/h): stavamo recuperando velocemente e le botte allo scafo erano praticamente insignificanti, saremmo arrivati a New York sicuramente in orario.

Mi è rimasto impresso quell’episodio perché da allora ho compreso che i marinai sono tali proprio a causa della meteorologia, altrimenti basterebbero dei semplici “conduttori”. L’eterna sfida che la natura rinnova ai naviganti ricorda loro come sia doveroso il rispetto per il mare e soprattutto il modo per gestire il maltempo.
Ciao Comandante, ti ricordo sempre quando una folata di vento fa muovere gli ulivi dei miei dintorni e rifletto sugli allarmi diramati durante le criticità meteorologiche d’oggigiorno ma, soprattutto, su tutte le polemiche che ne derivano successivamente, facendomi ritornare – pensieroso – ai “tempi” atlantici.=

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