Il navigare non ha trasportato soltanto merci: ha mosso usi, accenti, odori e sapori. Ogni nave che approdava lasciava un frammento del proprio mondo tra pontili e botteghe. Un po’ di Liguria si imbarcava nascosta in una bottiglia d’olio, in un sacchetto di frutta secca, pronta a ripartire, a mescolarsi al vento.
Cucina (cambusa) di veliero: notare le due sicurezze per evitare che i tegami scivolassero via per lo sbandamento della nave: una è il bordo di sicurezza, la seconda è il gancio soprastante
Col tempo, la cucina ligure sul mare s’è fatta cucina di porto: plasmata dagli scambi, dai traffici, dalla necessità. Dura e fedele come gli spaghi di canapa che non temono la salsedine, resistente come la coperta delle navi che sopporta le onde improvvise.
Non è mai cucina stanziale, bensì mappa in continuo movimento, tracciata dai capricci del vento e dei guadagni, segnata da rotte che mutano sapori e destini. Ogni pietanza è una carta nautica della memoria: mani che impastano, vele che partono, linguaggi e gusti che si intrecciano nei porti, come correnti invisibili.
Cambusa di veliero, è simile ad un locale sulla terraferma, eccezion fatta per le cime di sicurezza
Ogni piatto racconta una traversata:
• Il brandacujùn parla del Nord e delle tempeste, del merluzzo duro come teak dei masconi e dell’olio che lo ammorbidisce, come il Sole dopo la burrasca.
• Il cappon magro narra i traffici con il Levante, i ritorni da Alessandria e dalla Crimea, quando uomini e frutti canditi, spezie e memorie intriganti d’Oriente approdavano insieme.
• La buridda è il Mediterraneo in una casseruola: povero pesce che diventa signore, pomodoro e vino mescolati come sangue e sale.
• La focaccia, la farinata, le gallette sono compagne delle notti d’attesa in porto, quando si mangiava poco e si sognava molto, con mani ancora odorose di cordame e di pece, in attesa della marea favorevole alla partenza.
Un piatto di focaccia e uno di gallette
Era cucina povera, sì, ma sapiente come un anziano timoniere: nulla si sprecava, tutto si trasformava. La vera abilità stava nel conservare gli avanzi, perché ogni residuo poteva ancora approdare verso un nuovo uso, così anche il poco diventava abbondanza. Quel comportamento era un vero e proprio elogio alla resilienza.
Ancora oggi, se lo osservi con attenzione, questo modo di far da mangiare sa orientarti — come una bussola di sapori — fedele, anche quando il cielo si chiude e il tuo navigare t’impensierisce.
E allora capisci: ogni piatto, ogni aroma, ogni ricordo, ridiventa un piccolo viaggio o una traversata, ma anche una nostalgia di porto che non muore mai.=
Bruno Malatesta































