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Il miraggio dell’oro

Ricordiamo anche i Nostromi, Marinai e Mozzi del 1800

 

I Marinai sui velieri erano davvero parte della propulsione eolica, cioè degli autentici specialisti del settore. E’ vero che il vento sospingeva le vele e di conseguenza la nave, però quelle attrezzature necessitavano di continui assestamenti per ottimizzare l’incidenza dell’aria sulla loro superficie. Sicuramente non era compito facile, per esempio basta immaginare le squadre di uomini che s’arrampicavano sui pennoni durante le giornate di burrasca, non solo contro un vento impossibile ma anche contro lo sbandamento della nave che li approssimava pericolosamente alle onde. Consideriamo perciò i Marinai come i Fuochisti o i Carbonai stessi, che decenni dopo avrebbero gestito le macchine dei piroscafi.

I protagonisti della nostra tradizione marinara: l’Armatrice, l’Armatore e il Capitano

Abbiamo visto recentemente l’Armatrice e l’Armatore, cioè quelle figure significative della nostra tradizione marinara e del benessere della nostra Città; i Capitani poi, li abbiamo con noi ancor oggi. Ma il resto dei naviganti dell’800 è oggigiorno forse meno ricordato?
Con l’utile “nave del tempo”, cerchiamo qualche risposta alla questione e mettiamo perciò la prua indietro, per la precisione nel 1865: altri tempi, basta pensare che Camogli era un Circondario Marittimo ed aveva competenza costiera da Bogliasco a Rapallo.

Veliero in transito a Camogli – 1870 circa (Archivio Ferrari)

Nei periodi di disarmo dei velieri, il porto di Genova era affollato di navi… e di Mozzi. C’erano lance che facevano il giro dei velieri e raccoglievano al mattino i giovani per andare a scuola in Fossatello. Va da sé che quei ragazzini erano partecipi di baruffe nei vicoli dell’angiporto, e questo dimostra la loro tenera età, che per legge, non poteva essere inferiore a 10 anni!
A quel punto educativo del giovane, la sua formazione avrebbe potuto in seguito instradarlo verso la carriera di Capitano oppure di Marinaio.

La lancia con i Mozzi delle navi mentre dirige a terra

Era quindi un primo bivio delle professioni possibili; in pratica, Capitani e Marinai avevano la stessa genesi. Le leggi dell’epoca prevedevano che chi si iscriveva alla Gente di Mare, doveva essere appunto maggiore di 10 anni, vaccinato o almeno aver avuto il “vaiolo naturale” e, se minore, doveva disporre del consenso paterno.
Da quanto sopra si deduce (già si sapeva) che i padri capitani accompagnavano i figli a bordo in certi periodi dell’anno per fare pratica.

Altri protagonisti della nostra tradizione marinara: da sn: il Nostromo, il Marinaio e il Mozzo

Una parte avrebbe scelto infine il percorso della scuola nautica vera e propria per divenire ufficiali, l’altra invece, una volta raggiunta l’età di 18 anni e maturati 2 anni di navigazione, proseguiva la sua carriera come Marinaio e, a circa 25 anni d’età, diveniva successivamente Nostromo dopo aver messo da parte una certa esperienza a bordo.
Infine, quei Nostromi che erano più che 24enni, con 5 anni di navigazione e letterati con pratica della bussola (cioè del timone), erano autorizzati a comandare piccole navi di traffico costiero. Da queste regole intendiamo che il Nostromo sui velieri era a pieno titolo sì un Sottufficiale, ma spesso era il “terzo uomo” di guardia al timone, dopo il Capitano e lo Scrivano che si davano così il cambio durante le 24 ore di navigazione in mare aperto.

Il Nostromo mentre controlla le operazioni della nave durante la sua guardia

Purtroppo, di questi marittimi peraltro fondamentali nella gestione delle navi a vela, non ci sono giunte delle documentazioni esaustive. Ciò perché chi sapeva leggere e scrivere a bordo erano solo gli ufficiali e cioè il Capitano, lo Scrivano e il Nostromo. Generalmente, chi era illetterato non lasciava documentazioni ai posteri, probabilmente pochi scritti alla famiglia quando un ufficiale li aiutava; ricordiamo che all’epoca circa l’80% della popolazione italiana non sapeva leggere né scrivere.
Esistono però delle testimonianze: per esempio al Civico Museo Marinaro “G.B. Ferrari” di Camogli sono conservati dei bauli appartenuti a Marinai e da loro decorati. V’è pure un dipinto ad olio su tela olona (quella delle vele) raffigurante una complessa nave a vela con tutta la sua minuziosa attrezzatura. Nella struttura civica vi sono anche i loro attrezzi professionali e altri reperti come le navi in bottiglia o bottiglie multicolori di guano.

Scorcio del Civico Museo Marinaro “G.B. Ferrari” di Camogli: si notano sullo sfondo le navi in bottiglia e, a destra, la teca con i vari libretti di navigazione e sopra di essi, altre navi in bottiglia

Al Museo non possono certo mancare i libretti di navigazione che definiscono precisamente la loro navigazione effettuata sui mari del globo. Tali preziosi documenti furono donati dalle loro famiglie alla struttura, dimostrando così quel solido legame tra nuclei di naviganti d’ogni estrazione sociale e la Città di Camogli. Bisogna in effetti dedurre che se un marittimo si trovava “male” a bordo non avrebbe desiderato certo lasciare ricordi di brutte esperienze alla famiglia.
Continuando il nostro viaggio in quella categoria, possiamo dire che la stessa non ebbe significative tutele lavorative, almeno sino all’Unità del 1861: un po’ di cose cambiarono con la proclamazione del Regno d’Italia.
A Camogli, come abbiamo accennato pocanzi, la conduzione famigliare degli affari armatoriali includeva il confidenziale rapporto tra i componenti di certi equipaggi: i parenti dei Capitani conoscevano quelli dei Marinai; si instaurò – almeno all’inizio di quell’attività – un solido rapporto di fiducia; va qui ricordata la figura dell’armatrice e delle sue funzioni relazionali. Ovviamente, dopo i robusti guadagni della guerra di Crimea, anche gli equipaggi si allargarono e la gestione della flotta camogliese divenne più globale.

Immagine del porto di Camogli nel 1878 (Archivio Ferrari)

Con il nuovo ordinamento marittimo vennero introdotti dei benefici di trattamento per i naviganti in genere… ma non completamente. Per esempio, chi sbarcava per infortunio o malattia doveva pagarsi – come prima – le spese di rimpatrio e pure quelle delle cure.
Per sfatare poi un’altra credenza, nel 1865 venne promulgata la legge che in caso di mancanza di acqua e viveri a bordo, il Capitano del veliero doveva procurarsi le necessarie provviste chiedendole a navi di passaggio oppure deviare di rotta; inoltre, almeno un terzo delle persone dell’equipaggio poteva reclamare presso l’autorità marittima contro la qualità ed insufficienza dei viveri.

La camera di prora, in pratica la cella di bordo

Tutti i delitti e le pene relative alla vita in mare in generale, davano un’idea dei sistemi sociali di quei tempi. Era sicuramente un’attività complicata, un po’ perché la nave si spostava continuamente, lontana dallo stato della sua bandiera e un po’ perché certi componenti di quelle comunità non erano sicuramente delle persone “come si deve”. Sicuramente la disciplina a bordo era dura: erano previsti gli arresti nella famigerata “camera di prora” e ogni provvedimento nei confronti dei marittimi più insubordinati veniva annotato nel “registro di disciplina”. Pene pesanti erano previste per i disertori e, a quel tempo, molti erano infatti coloro che abbandonavano la nave nei porti esteri.

Possiamo infine affermare che i nostri Marinai furono – nella stragrande maggioranza – formidabili componenti di quella classe di professionisti impegnata nella complessa gestione delle grandi navi a vela. Senza di loro, Camogli non sarebbe certamente divenuto uno dei più rilevanti centri marittimi della seconda metà ‘800 e, ancor oggi, una delle sedi più prestigiose dove si preparano Capitani e Macchinisti navali.

Bruno Malatesta

(notizie tratte da:
– “La Città dei mille bianchi velieri, Camogli” di G.B. Ferrari;
– “La Marina Mercantile di Camogli” di G.B. Roberto Figari e Silvia Bagnato Bonuccelli;
– “Codice per la Marina Mercantile del  Regno d’Italia, 1865”;

immagini, dove non specificato:
– Archivio Capitani + IA).=

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