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Il miraggio dell’oro

L’armatrice

Avevamo recentemente parlato della giornata di un armatore camogliese di metà ‘800: nello stesso scritto c’erano vari riferimenti ad una “armatrice”.
Come è noto, occupare certe posizioni negli affari o di leadership da parte delle signore d’epoca non era sicuramente un fenomeno frequente.
Per comprendere meglio l’argomento, approdiamo nella Camogli della seconda metà ‘800 con la nostra insostituibile “nave del tempo”.


La “nave del tempo”

Per creare quel fenomeno detto prima ci voleva perciò un meccanismo sociale, un qualcosa che favorisse la concomitanza di convenienti prospettive: ecco allora che ci troviamo dinnanzi ad un esempio di unione “matrimonial-finanziaria”.
Poteva succedere che un anziano armatore concedeva in sposa la propria figlia ad un giovane e abile Capitano di famiglia benestante e, con la sua cospicua dote, veniva inclusa l’assegnazione al comando di uno dei velieri di famiglia.
Dopo le nozze, gli sposi felici partivano insieme per varie rotte commerciali negli oceani. Successivamente, con i primi profitti e con il sostegno della parentela che possedeva la nave in carati (partecipazioni), il Capitano armava a sua volta un nuovo veliero e dopo qualche tempo, si insediava in ufficio con la consorte per ampliare così i traffici di famiglia. Questa tipologia di sistema economico-famigliare caratterizzò una buona parte della nostra storia marittima sino al primo decennio del 1900.

Le nozze della figlia d’armatore col giovane Capitano

Quelle signore imparavano così a conoscere in prima persona il mare aperto con i suoi scenari e personaggi e, successivamente, attuavano quelle competenze una volta che avevano assunto posizioni di rilievo nell’ufficio di famiglia. Come si può immaginare non tutte le mogli di capitani sarebbero poi diventate armatrici, ma è proprio di alcune di quelle che ci sono riuscite che vogliamo argomentare in queste righe.

Non è troppo azzardato quindi affermare che marito e moglie maturavano già a bordo il progetto di conoscere prima l’attività marittima di persona e poi condurre insieme la gestione armatoriale a terra. Possiamo sicuramente sostenere che allora, come oggi, viaggiare allargava le coscienze, per cui le signore che venivano a contatto con certe nuove tendenze di emancipazione femminile, erano successivamente favorite nella vita a occupare un’attività manageriale.

Signore della Camogli d’epoca nella “Salita”

In alcuni porti della nostra regione vigeva il “disarmo invernale”: succedeva quando il Mare d’Azov era ghiacciato e certi brigantini liguri si dedicavano di conseguenza alla manutenzione delle loro logore attrezzature marinaresche.
In quel periodo di “vacanza”, nei nostri porti s’incontravano – tra gli altri – le giovani figlie delle potenti famiglie armatoriali liguri. Era tradizione che cercassero marito tra gli “scrivani”, cioè quegli ufficiali di bordo che un giorno sarebbero divenuti Capitani del barco e che avrebbero garantito perciò una notevole stabilità economica. In quella comunità stagionale si organizzavano ricevimenti e visite ai Santuari dei dintorni, nel pieno rispetto delle usanze di allora quando, per esempio, alle feste della domenica pomeriggio non era permesso il ballo tra coloro che non fossero ancora coniugati.
Giovani donne a passeggio negli approdi invernali dei velieri

E’ doveroso qui menzionare le norme del Diritto di Famiglia del Regno d’Italia. Sussistevano molte limitazioni sulla figura delle “mogli in affari di famiglia”, ma c’era un’eccezione molto rilevante: tra l’altro, “l’autorizzazione del marito a nominare la consorte responsabile degli affari di casa non era necessaria quando la moglie esercitava attività di commercio cioè, nel nostro caso, l’armamento di navi.”
Da qui si intende che in una famiglia dove il capo era un ex capitano, divenuto poi armatore, la consorte che lo coadiuvava con il suo bagaglio di esperienza di navi e traffici come avevamo detto prima, acquisiva quasi automaticamente la qualifica di armatrice vera e propria.

L’armatrice col consorte al lavoro nel loro scagno

Le “signore armatrici”, che nella prima metà 800 sostituivano il consorte navigante e proprietario della nave, espletavano inizialmente alcune incombenze “relazionali”. I loro obblighi riguardavano difatti i contatti con le famiglie del personale imbarcato, generalmente una dozzina per veliero. Va qui ricordato l’alto tasso di illetteratismo nella popolazione d’allora, per cui quelle signore erano attive nello smistare la corrispondenza degli equipaggi, ma traquillizzavano anche le mogli preoccupate quando c’erano notizie di tempo cattivo in mare, oppure accompagnavano in Chiesa quei parenti di naviganti che avevano problemi a muoversi.

Bella immagine del Primo Novecento di Camogli con le sue palazzate, alcune delle quali verranno abbattute dopo una decina d’anni

Successivamente e finalmente, iniziavano la gestione vera e propria degli affari armatoriali di famiglia. Notiamo che spesso, le armatrici erano vedove dei Capitani e/o figlie dell’armatore, cioè come detto precedentemente, avevano già acquisita in tenera età l’esperienza di bordo e degli affari. Precisiamo che la loro attitudine non era comunque quella di apparire aggressive in un settore sicuramente complesso, ma invero conquistare il rispetto di chi stava loro intorno per le loro effettive competenze, decisioni e sicurezza. E di queste eccezionali doti per quei tempi, le armatrici vennero ampiamente riconosciute, specie con l’attribuzione del loro nome alle navi di famiglia.

Splendido dipinto del brigantino a palo “Nemesi” (collezione Corda)

La relativa ricerca, effettuata sui testi locali di storia marittima, ci indica che l’armatore del veliero Nemesi, naufragato nel 1901, era Battistina Schiaffino, figlia d’armatore e moglie a sua volta dell’armatore Stefano Razeto. Possiamo quindi affermare che la giovane camogliese fu inserita a pieno titolo nell’attività armatoriale, occupandosi perciò degli affari di famiglia e non solo di solidarietà e relazioni con gli equipaggi; purtroppo morì a soli 35 anni, nel 1891.
Un anno dopo la sua scomparsa, i Razeto fecero costruire un veliero in suo ricordo, il Battistina Razeto appunto. Lei e Stefano ebbero ben otto figli ai quali vennero intitolate – come di consuetudine – varie navi.
Ricordiamo perciò Battistina Schiaffino in Razeto, armatrice e benevola madre, personaggio che precorse i tempi della prima metà Novecento, nei quali le signore avrebbero poi raggiunto finalmente i rilevanti obiettivi della loro condizione sociale.

L’armatore Fortunato Ottone mentre impartisce disposizioni sulla costruzione di un suo barco alle maestranze di un cantiere del ponente ligure

Sempre a metà Ottocento emerge una personalità rilevante, Fortunato Ottone detto Ciabarìn, Capitano e armatore di Camogli che si era trasferito – come altri – a Savona, che la considerava sua seconda patria. Costruì la sua flotta mercantile particolarmente coi traffici di Crimea a metà Ottocento e mantenne comunque fitti legami con Camogli.
Incontriamo qui Antonietta, che fu la sua compagna assidua nella vita e negli affari; morì nel 1899 a 72 anni.
Come per Battistina Schiaffino che avevamo conosciuto precedentemente, il suo nome avrebbe caratterizzato la prua di alcuni barchi di famiglia.


Le statue di Antonietta Ottone e Fortunato Ottone nel Cimitero comunale di Camogli

Due furono i barchi degli Ottone che vennero intitolati ad Antonietta (prima la madre e poi la moglie): Antonietta del 1854, brigantino, la sua polena affigurava una vecchia signora, appunto la madre dell’armatore e Antonietta Ottone, del 1873, brigantino a palo, adibito a traffici oceanici.
Poi, alla morte di Fortunato, avvenuta a Savona nel 1904 a 76 anni, cioè dopo cinque anni da quella di Antonietta, la salma dell’armatore fu trasferita a Camogli nella tomba di famiglia dove già riposava la consorte. Ancora oggi le loro imponenti statue sono situate appena a sinistra dell’entrata del Cimitero comunale.

L’Ospedale Civico di Camogli in una foto d’epoca

Sulle spalliere del porto, come è noto, si trova quell’importante edificio che era l’Ospedale Civico intitolato ai SS. Prospero e Caterina, inaugurato nel 1896. Nei suoi locali, si trovavano i resti di citazioni, medaglioni, busti e statue impolverate, raffiguranti quei benefattori che onorarono Camogli e la struttura stessa.
Parte rilevante nella sua realizzazione la ebbe Felicina Casabona, che nacque a Camogli nel 1827, consorte del pluridecorato capitano ed armatore Domenico Ferrari (nomiaggio “Squarza”), appartenente ad una delle famiglie armatrici più celebri della Città e che promosse – tra l’altro – la costruzione della “Piccola Casa di Provvidenza”, destinata all’assistenza delle figlie orfane dei marinai.

Immagine d’epoca della Piccola Casa di Provvidenza di Camogli

Lei non era comunque di profilo sociale inferiore al consorte: suo padre era l’armatore Antonio Casabona, grande figura di imprenditore Camogliese che vide imbarcato sui suoi velieri persino Giuseppe Garibaldi, il quale fu da lui promosso Capitano al comando.


Felicina Casabona 1827 – 1905)

Come per Battistina Schiaffino e Antonietta Ottone, anche Felicina Casabona ebbe una nave intitolata a lei: il brigantino a palo Felicina appunto, costruito nel 1877, del quale fu effettiva armatrice. Felicina contribuì di fatto con un’ingente somma alla costruzione del centro sanitario cittadino, cioè con una cifra poco inferiore al valore di due grandi velieri. Per riordinare le date storiche annotiamo che Domenico Ferrari morì nel 1886, le vedova Felicina vide l’inaugurazione dell’Ospedale dieci anni dopo ed infine morì nel 1905. A Felicina Casabona è intitolato il Largo carrabile situato all’entrata di Camogli di ponente.

Abbiamo visitato alcuni aspetti sociali e culturali delle signore di Camogli al tempo della vela. Abbiamo riportato certe caratteristiche – che riteniamo significative – della vita famigliare e sociale di quell’epoca, forse per confrontarle anche col nostro tempo. Abbiamo infine tentato di individuare le preoccupazioni e dubbi che avevano le signore del mare a riguardo del loro futuro di tradizionali consorti o abili professioniste, soprattutto in vista di un secolo innovativo che si stava aprendo.

Bruno Malatesta

(1) bibliografia:
– “I Velieri di Camogli” del Civico Museo Marinaro “G.B. Ferrari”;
– “Exvoto marinari del Santuario di N.S. Del Boschetto di Camogli” di Farida Simonetti;
– “Soprannomi (nomiaggi) dei Capitani ed Armatori di Camogli” di Pro Schiaffino”;
– “La Marina Mercantile di Camogli” di G.B. Roberto Figari e Silvia Bagnato Bonuccelli;

2) immagini:
– Archivio Ferrari e IA;
– Civica Biblioteca “N. Cuneo” di Camogli;
– Archivio Capitani Camogli.=)

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