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Il miraggio dell’oro

L’arte di vivere il mare

Sembra davvero ieri quando alla Scuola Nautica si sfogliava il libro di “Arte Marinaresca” dell’indimenticato docente Oscar Sergi, il primo che ci fece comprendere perché arte e navigare erano due argomenti amalgamati.

Già in quel periodo preparatorio alla nostra professione, avevamo inteso che, come un artista affermato, anche un navigante poteva essere riconosciuto dal suo stile. E allora ecco che si considera l’arte marinaresca non solo come una manifestazione strettamente raffinata, ma anche professionale.
Si può affermare che chi lavorava sul mare ed era di indole creativa, il suo stile di vita amplificava il proprio estro. Inoltre, molti ritengono che chi lavora sul mare sia romantico per definizione. Esistevano vari aspetti di quel mestiere, come la partenza dalle persone care oppure la vastità del mare con la sua rabbia, o l’isolamento stesso, che causavano le particolari sensibilità emotive tipiche di chi reagiva alla vita con passione e idealismo, proprio come abbiamo visto pocanzi per la creatività.


Veliero del 1880 in navigazione

A prova di quanto appena detto basta salire a bordo di una nave ottocentesca per ammirare le varie ed eleganti manifestazioni che caratterizzano uno dei mestieri più affascinanti della nostra storia.
Inevitabilmente, ecco allora l’incontro tra arte e professione, cioè quella parte di creatività del navigante che non è esclusivamente dedicata al tempo libero, ma bensì utilizzata sul lavoro. Alcuni di noi ebbero questa rivelazione quando alla Scuola Nautica si leggeva che “la navigazione è l’arte di condurre un mezzo da un punto ad un altro attraverso vie non tracciate.”

Una riflessione iniziale riguarda l’arte marinaresca vera e propria, cioè la parte strettamente professionale del termine.
Un tempo, quando le rotte in mare aperto non erano tracciate dalla navigazione globale, la nave si trovava in una scura bolla di incertezza che veniva periodicamente illuminata dalle osservazioni astronomiche.

Punto stimato: l’area verde è quella dove il navigatore presume di trovarsi dopo aver navigato con un possibile errore di rotta di 2° (a sinistra o dritta) e con un errore di velocità che copra un ventesimo della distanza totale percorsa

E quest’ultime potevano essere a volte molto sporadiche per questioni meteorologiche. Succedeva così che la posizione (e quindi la sicurezza) dell’unità rimaneva molti giorni senza verifica. Non si faceva altro che tenere conto della rotta e velocità seguita, dei venti o correnti presenti in quella tratta e si determinava quello che per secoli fu individuato come “punto stimato”, cioè la posizione della nave dove si “credeva” di essere. L’accuratezza delle sue coordinate dipendeva perciò dall’esperienza del Capitano, il quale aveva in effetti un “suo stile” inconfondibile nel comportarsi in mare aperto, proprio come un “artista”.

Continuando con l’arte dei marinai, troviamo le “figure”, che hanno da sempre caratterizzata la loro personalità, poichè da sempre hanno desiderato conservare le testimonianze dei luoghi visitati e dei pericoli scampati. Al Civico Museo Marinaro “G.B. Ferrari” di Camogli è conservata un’opera che rappresenta la nave a vela Eurasia nel primo ‘900, realizzata da un marinaio con le pitture di bordo su tela da vele.

Nave a vela “Eurasia”, dipinto su tela da vele

Nonostante la rappresentazione del veliero fosse complessa, l’impianto grafico risultante è decisamente ottimo se si considera che a realizzarla non fu un artista di professione; in quel lavoro, i dettagli, disegnati prima di applicare il rudimentale colore, sono sorprendenti per la loro precisione tecnica.

Un altro lato artistico dei naviganti era la ricca decorazione. Sempre al Museo Marinaro troviamo i caratteristici bauli che accompagnavano i naviganti non solo per trasportare la loro roba, ma servivano anche come sedili o tavolini durante il poco tempo a disposizione per dormire, mangiare o scrivere a casa.

Coperchio di baule da marinaio

Dice il Comandante Bruno Sacella: “Alcuni sono semplici casse, munite di serratura e maniglie laterali, generalmente costruiti con coperchio convesso; la maggior parte è decorata con motivi differenti, a seconda della capacità e del gusto del proprietario. Solitamente si tratta di disegni eseguiti con pitture di bordo all’interno del coperchio, spesso molto accurati, nonostante il materiale piuttosto grezzo: pittura a base di olio di lino, pennelli rustici per la pitturazione di bordo, eventualmente affinati con il coltello. Quei disegni raffigurano il profilo del veliero sul quale il marittimo era imbarcato, oppure mostrano varie immagini a carattere religioso, la Vergine e gli angeli. Alcune di queste casse, invece, sono decorate all’esterno, con incisioni e disegni colorati a carattere geometrico, generalmente sul coperchio o sulla parte frontale.”

E immagini realizzate da marinai erano pure i tatuaggi. Diciamo subito che i migliori tatuatori erano insediati ovviamente negli angiporti degli scali d’approdo. I marinai invece provvedevano in maniera rudimentale a realizzarli sulla loro pelle con punte di spillo, quasi li consideravano delle illustrazioni. Erano tracciati con un inchiostro bluastro che dopo qualche mese si sarebbe sparso intorno all’incisione originale, rendendola quasi irriconoscibile.

Quelle figure erano inizialmente tracce dei viaggi effettuati, tanto per ricordarli una volta a riposo. Si trattava anche di soggetti femminili o religiosi, oppure attrezzi di bordo come timoni, ancore, bussole, ma anche creature marine o navi in tempesta. Va qui ricordato che sulle unità di Camogli del primo Ottocento, per evitare anche infezioni post-tatuaggio, si usava l’unguento del Capitano Giuseppe De Gregori, composto da cera d’api, pece ed olio d’oliva. Fu la stessa preparazione poi utilizzata dai Frati Olivetani di San Prospero (vedi qui).

Al Museo Marinaro vi sono poi dei reperti che venivano certamente considerati artistici dagli equipaggi d’allora e che meritavano un posto nel salotto buono di casa: per esempio le bottiglie colme di guano multicolore oppure le stesse anfore romane trovate sui fondali mediterranei, ma anche le navi in bottiglia, forse il più classico degli oggetti della gente di mare.

Reperti del Civico Museo Marinaro “G.B. Ferrari” di
Camogli: dall’alto, anfore romane, bottiglie di guano colorato,
velieri in bottiglia

Senza dubbio arte decorativa era la pratica dei nodi, cioè quelle legature necessarie al navigante per assicurare qualsiasi cosa in un ambiente in costante movimento, ma non solo. Vi erano anche i nodi “eleganti”, quelli che avrebbero decorato per esempio una bottiglia di buon liquore oppure un utile bastone da passeggio. E’ evidente che chi faceva i nodi migliori poteva disporre di un soprassoldo ed è qui che si riprende il senso dell’arte marinara.

Nodo “Margherita”

Bottiglia adornata da corda annodata

Un altro aspetto dell’arte di bordo era la musica. Un esempio significativo è la chitarra di Simone Schiaffino – che navigò su velieri di Camogli – conservata sempre al Museo Marinaro. La musica ha sempre “incantato” i marinai e, senza scomodare le sirene di Omero o i cori da bettole malfamate, ascoltiamo difatti i canti dei marinai.

La chitarra di Simone Schiaffino suonata dal Maestro Fabrizio Giudice


Coro su un veliero di fine ‘800

Delle nostre navi non è disponibile la letteratura relativa a versi intonati dalla ciurma, ma ne esistono parecchie notizie sulle navi del Nord Europa. Principalmente erano arie religiose o comunque che si riferivano a momenti nostalgici. Nella routine di bordo c’erano anche i canti dedicati al lavoro: ecco quindi quelli che cadenzavano il salpare dell’ancora o la risistemazione delle vele e dei loro cavi, ma pure il ritmico remare della barcaccia che aiutava il veliero a muoversi in acque ristrette.

E poi la scrittura. Purtroppo gran parte dell’equipaggio di quell’epoca era illetterato e quindi spettava agli ufficiali di bordo aiutare chi scriveva due righe a casa. Molto probabilmente neppure gli ufficiali scrivevano molto durante i loro imbarchi: il tempo per riposare era decisamente poco.


Esistono dei resoconti sulle navigazioni dell’800, ma sono sporadici; qualche famiglia salvò le lettere dei propri marinai, le quali furono successivamente esposte in musei, giusto per comprendere gli stili di vita di quel tempo. Quando invece si sviluppò davvero la scrittura tra la gente, i naviganti avvertirono un forte impulso a raccontare sui libri le loro storie di mare, giusto per evitare che le stesse venissero affogate tra le onde. Solo a Camogli per esempio, la Società Capitani e Macchinisti Navali organizza periodicamente varie rassegne sulla letteratura nautica.

E’ inevitabile parlare dei tempi attuali. Cosa rimane di questa arte?
Certi aspetti citati pocanzi sono rimasti inalterati; la modernità e le comunicazioni esasperate ne hanno modificato altri.
Sicuramente possiamo affermare che le due caratteristiche della personalità del marinaio dette all’inizio, cioè creatività e romanticismo, sono rimaste pressochè immutate poiché come affermava un altro docente della Scuola Nautica: “Tutte le navi galleggiano…”

(immagini archivio Capitani Camogli & IA)

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