(annotate da un ufficiale in libera uscita in Finmarchia)
Un pò di tempo fa, un nostro Socio imbarcato su una nave da crociera approdò a Honningsvåg, nell’estremo settentrionale della Norvegia. Gli ospiti dovevano effettuare l’escursione a Capo Nord che dista una trentina di chilometri. Il Socio non era mai stato da quelle parti e ne approfittò per visitare un luogo certamente straordinario e annotare altresì le sue impressioni di viaggio.
Nei dintorni di Capo Nord (photo Archivio Capitani Camogli)
Ore 10:00 – Partiti da Honningsvåg
Siamo appena partiti da Honningsvåg e già la strada stringe e si arrampica. Ma il motore s’agita bene e c’è aria di gita, anche se l’orizzonte resta immobile, chiaro e silenzioso come vetro o cristallo. Il porto è rimasto alle spalle, e mi porto via l’odore di pittura e gasolio appena spento.
Honningsvåg… il nome suona strano, eppure familiare. Qualcuno ha detto che significa “baia del miele”, forse per via della Corrente del Golfo che arriva fin quassù e tiene libero il mare anche d’inverno. Una benedizione per chi naviga il mare; dicono che in pieno febbraio qui si possa ancora transitare senza spaccare il ghiaccio. Un porto al riparo, dolce come miele in mezzo al freddo dell’Artico? Ci può stare.
A dritta, fuori dal finestrino, si apre il Mare di Barents. Calmo oggi, ma ingannatore. Un mare che sa essere duro, che ha visto pescatori, baleniere, convogli di guerra; eppure, nel Seicento, nessuno se lo contendeva davvero. Quando Francesco Negri, prete viaggiatore di Ravenna, venne quassù nel 1664, non c’erano né forti né bandiere né compagnie di ventura. Gli olandesi andavano a cercare lo Stretto di Bering e le Indie; gli svedesi si spingevano giusto fino alla Botnia; i russi stavano ancora litigando con gli zar e i ghiacci. La Finmarchia era terra di nessuno, o meglio, era terra dei pochi che ci abitavano davvero: i Sámi, le renne e il vento.
Il porto di Honningsvåg (photo Archivio Capitani Camogli)
Ore 10:30 – Verso Nordkapp, tra rocce e muschio
La strada serpeggia su per alture nude. Niente alberi: solo rocce, neve vecchia che resiste a luglio, fiordi come tagli profondi nella costa. Ogni curva sembra volerci riportare indietro, ma si va avanti, metro dopo metro; fuori è tutto silenzioso, dentro il bus si parla a mezza voce e si osserva.
Qui il Sole non tramonta, e questo cambia tutto. Ci si abitua, ma la prima notte — se così si può dire — ti svegli a ogni ora con la stessa luce in faccia. Il tempo si sfilaccia, perde consistenza, e uno finisce per guardare l’orologio più per abitudine che per necessità.
Ripenso alle terre del Sud: Capo Horn, la Patagonia, luoghi che ho solo sfiorato. Eppure, questo Capo Nord mi dà la stessa sensazione: fine del mondo, o meglio ancora confine del conosciuto. Laghi immobili, vento che ti scruta, e una natura che non ti vuole né ti respinge: ti tollera… se stai zitto. Anche qui, come in tanti posti, le grandi potenze hanno cominciato a focalizzarsi davvero solo nel Settecento e Ottocento, quando i cavi telegrafici e le mappe ben dettagliate hanno cominciato a rendere interessanti questi territori dimenticati. Ma quando ci venne Negri, non c’era nulla da prendere; solo freddo, luce o oscurità perenni e una lunga salita verso qualcosa che non si sa bene cosa sia.
Sole di mezzanotte vicino a Capo Nord (photo Archivio Capitani Camogli)
Ore 11:00 – Capo Nord
Eccolo, Capo Nord. Il bus si è fermato e il vento non ha aspettato: soffia teso da nord-est, gelido e pieno di sale. Davanti a noi c’è la famosa sfera metallica, piantata sull’orlo di una falesia. Ma il vero monumento è il vuoto: l’Oceano Artico che si spalanca a strapiombo sotto i nostri piedi.
Nel 1664, Francesco Negri ci arrivò infine su slitte tirate da renne. Nessuna spedizione ufficiale, nessun patrocinio. Solo curiosità vera, la stessa che spinge i marinai a imbarcare o a salire sull’albero di maestra anche con mare agitato. Negri fu perciò il “primo turista” di Capo Nord, tanto che storica fu la sua frase: “Eccomi qui, a Capo Nord, l’estremo nord della Finmarchia, alla fine del mondo…”
Il sacerdote non scoprì un nuovo mondo, come fece Colombo nel 1492, ma toccò un punto che nessuno pensava valesse la pena di raggiungere, e proprio per questo è stato più onesto, non piantò croci, né bandiere. Del resto il Capo era già stato individuato da vari navigatori.
E questo, da uomo di mare, mi basta.
Bruno Malatesta
ascolta qui lo straordinario podcast a due voci!
(notizie tratte da Wikipedia)