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Il terrore di Capo Horn

Ho etichettato così questa famigerata località che – tra l’altro – non sarebbe neanche un promontorio, bensì un’isola. Basta pensare che proprio il maestro della narrativa del terrore, Edgar Allan Poe, dedicò uno dei suoi racconti più inquietanti, “Una discesa nel Mælström”, proprio ad un effetto oceanografico dei fiordi norvegesi, ecco…
La costa di Capo Horn vista dall’oblò del Socio Raffaele Broggi

E’ vero, Capo Horn nel corso della storia ha acquisito rilevanza dopo che molte navi iniziarono a transitare nei suoi pressi, creandogli così un profilo più preciso e più significativo.
Intanto il suo nome, che non deriva dalle corna di chissà quale animale autoctono del suo territorio, ma dal paese d’origine olandese del suo scopritore. Si trova poi in un complesso e concentrato arcipelago della Patagonia che in effetti è l’area più meridionale del Sud America continentale, ma anche la più “bassa” rispetto ad Africa e Nuova Zelanda, la cui calotta è praticamente invasa da acque sterminate. Presso Capo Horn si scontrano difatti due oceani piuttosto infuriati a quella latitudine, con le “onde più alte del mondo”: l’Atlantico e il Pacifico.

Particolare della carta di navigazione nei pressi di Capo Horn. La nave dove è imbarcato Raffaele fa un passaggio davanti al celebre sito

Non è ancora tutto: il clima di quella convergenza è poi caratterizzato dalla sua vicinanza a Sud col continente antartico, cioè ci troviamo in definitiva di fronte ad una potenziale bomba idrometeorologica!
E ben sappiamo dai racconti degli “Albatross” e dei marinai camogliesi dell’800 a quali estreme situazioni erano soggetti mentre attraversavano le sue acque tumultuose: sbandamenti impossibili della nave, i terrificanti ululati del vento attraverso alberi, vele e sartiame, i poderosi rovesci d’acqua che molte volte portavano via con sè gli inermi naviganti, eccetera…
La definizione “Età eroica della vela”, come venne da alcuni chiamato quel periodo di eccezionale energia fisiologica e professionale, non era poi così esagerata, basta pensare allo stupendo volume del Comandante Flavio Serafini “Uomini e bastimenti italiani di Capo Horn”, dove vengono ampiamente citate le gesta di alcuni nostri navigatori.

Spettacolare tramonto all’altezza di Capo Horn. Verso il Sole, l’immensità dell’Ovest, nell’oceano Pacifico

L’alto numero di persone e navi perdute produsse il fenomeno geografico-sociale di Capo Horn, ovvero una vasta letteratura. Si evidenziò subito l’obiettivo principale di quei suoi eroi, cioè condurre ad ogni costo una nave oltre quella spaventosa barriera d’acqua per poter trasportare coloni o cercatori d’oro verso le terre dell’Ovest oppure approdare al Perù per caricare il prezioso guano destinato all’ormai asfissiata agricoltura europea.
Per molto tempo fu perciò attiva l’associazione internazionale dei “Cap Horniers” che aveva tra i suoi iscritti anche vari camogliesi; alcuni di loro parteciparono al noto raduno a Camogli nel 1971 (vedi gli Albastross qui).

Il passaggio a Capo Horn della “MSC Magnifica”: arrivata dall’Argentina, gli passa davanti e procede per Ushuaia, il porto “alla fine del mondo”!

Oggigiorno, quel passaggio è sì sempre insidioso come nell’800, ma le strategie e gli sviluppi moderni lo hanno ovviamente sminuito. Prima fra tutte è stata la diffusione dei bollettini meteorologici del primo ‘900, dopo di che, si aprì il Canale di Panama nel 1914.

Il Socio Raffaele Broggi intento a verificare la posizione della nave sulla carta di navigazione

Tra le navi che passano Capo Horn, proprio oggi (2 febbraio) c’è stata la nave da crociera MSC Magnifica, sulla quale è imbarcato il Socio Raffaele Broggi, diplomatosi al nostro Istituto Nautico. La nave è partita lo scorso 5 gennaio da Genova, ha attraversato l’Atlantico e in questi giorni s’accinge ad entrare in Pacifico per continuare il suo “giro” verso il Continente Nuovissimo.
Ti terremo aggiornato sul suo viaggio spettacolare!

Bruno Malatesta

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