Questa volta lasciamo i dibattiti e viaggiamo sulla nostra “nave del tempo” per far rotta a Camogli nell’anno 1863: era un’epoca particolare, ci furono molti cambiamenti.
Proponiamo il seguente scritto per descrivere alcuni personaggi d’allora, ma anche per rapportarci doverosamente coi nostri tempi. Si tratta di un breve racconto, nel quale alcuni riferimenti a persone sono storicamente accertati.
Buona navigazione!
La “nave del tempo”
Senza dubbio, Felice Airoldi si meravigliò in quell’anno come il “suo” Ufficio Postale potesse avere un così significativo volume di traffico visto che la percentuale di illetteratismo nazionale era ancora del 78%! E per di più Camogli non era una grande città…
Felice era stato funzionario già nelle poste del Regno di Sardegna e a Camogli lavorava – tra l’altro – per adattare l’ordinamento postale sabaudo a quello del Regno d’Italia. Successivamente comprese che, oltre alle lunghe pratiche di transizione delle leggi, c’erano anche quelle – invero molto più robuste – relative agli affari degli armatori locali.
Certe attività non gli erano troppo familiari, anche se la prima regola che apprese fu che il suo ufficio applicava il “pagamento anticipato” per tutti i telegrammi che giungevano a Camogli da qualsiasi angolo del globo.
Camogli antica
Intuiva anche che quei personaggi stavano cambiando l’economia del paese rivierasco e che se continuavano così, Camogli sarebbe presto diventata una potente città d’affari marittimi.
Ovviamente li assisteva nelle loro faccende quotidiane, tanto che da qualche tempo aveva fatto amicizia con Gio Batta De Gregori (nomiaggio “Lordò”), un noto imprenditore marittimo, gestore di una flotta di dieci navi, che subito divenne uno dei suoi migliori clienti.
De Gregori nonostante avesse uno scagno sull’Isola, preferiva salire i caruggi del porto alla mattina presto, in compagnia del figlio maggiore, per controllare personalmente la corrispondenza appena arrivata.
L’armatore all’Ufficio Postale con il figlio
Quella volta, Airoldi notò che il suo amico era molto impensierito. Difatti, lui e la sua consorte avevano da sempre contrastato il fidanzamento della figlia con un maresciallo di Dogana del porto e, la sera prima, il sottufficiale, disperato, aveva tentato il suicidio! Il funzionario tentava di distogliere l’armatore da quelle terribili preoccupazioni mostrandogli i dispacci giunti dalle sue navi.
Fortunatamente, nei discorsi successivi, Airoldi intese però che il Doganiere non era in pericolo di vita e che Lordò avrebbe infine concesso la sua benedizione alle nozze dei giovani, i quali in definitiva, si volevano davvero bene.
Il porto con i suoi velieri
Mentre verificava i dispacci dei passaggi dei velieri riportati dalle stazioni segnali di mezzo mondo, l’imprenditore spiegava a Airoldi che quando le navi passavano nelle vicinanze di quegli insediamenti, alzavano le bandiere del loro nominativo che veniva successivamente registrato ed inviato via telegrafo a Camogli. A quel tempo inoltre, proprio nei pressi dell’Ufficio Postale era stato posato il primo binario della ferrovia per Genova. Quell’impresa aveva accelerato ovviamente l’inoltro della corrispondenza telegrafica e postale e collegato il nostro centro al Nord Italia e al Nord Europa.
Stazione marittima segnaletica dell’800
Il maggiore dei figli di Lordò era il coordinatore finanziario della sua società di navigazione. Camogli, a quei tempi non disponeva di banche, per cui alle Poste il traffico di vaglia e messaggi era alquanto intenso e generalmente relativo agli istituti di credito genovesi.
Era invece diversa la corrispondenza con le assicurazioni delle navi poiché da noi, già nel 1855 nasceva la “Mutua”. Gli armatori delle navi assicurate, in caso di danni o avarie gravi, venivano risarciti in misura relativa anche alla posizione geografica, per cui si può immaginare la quantità di messaggi che transitavano a quel riguardo.
Ufficio dell’Assicurazione
Zone e “tempi senza notizie” entro i quali la Mutua Assicurazione Camogliese considerava un veliero “perdita totale”
Quella mattina, i due amici discussero anche dei “vecchi tempi”, cioè quando non c’era ancora il telegrafo e il Capitano doveva decidere sia per la gestione della nave che per la stipulazione dei contratti di noleggio presso i porti di sosta. Il progresso delle comunicazioni indusse successivamente chi era sulle navi a seguire le istruzioni di chi era seduto comodamente a terra, magari vicino ad un stagionato cognac. Ma anche lui, cioè l’armatore, aveva i suoi grattacapi, poiché oltre alla gestione della nave doveva confrontarsi coi caratisti, cioè coloro che erano in modo proporzionale proprietari degli scafi e che proprio in modo proporzionale rischiavano i profitti e le perdite d’esercizio.
Con qualche inevitabile mugugno, verso metà mattinata, De Gregori lasciò Airoldi alle sue incombenze e ritornò allo scagno del porto.
Veduta delle case dell’Isola dove De Gregori aveva il suo scagno
In quell’ufficio, sua moglie era abilissima nel sostituirlo quando lui si assentava per affari all’estero, anzi, aveva già sottoscritto una scrittura privata con la quale la si autorizzava ad assumere le sue veci di “armatrice” nei casi previsti.
Poi c’erano i due figli, ormai adulti che si occupavano brillantemente della contabilità e delle provviste di bordo, cioè due settori delicati e molto connessi alle spese di gestione.
Lui invece soprintendeva tutto, specialmente gli equipaggi delle navi, le loro rotazioni e sostituzioni; conosceva personalmente le famiglie di gran parte di quelle persone.
Lo scagno dell’armatore: l’armatrice consulta gli aggiornamenti dei noleggiatori con i due figli; alla parete, si nota la mappa con la posizione dei barchi
Quando arrivarono, erano già state recapitate le corrispondenze delle strategie di mercato, le informazioni degli affari marittimi, i giornali esteri, le comunicazioni con i fornitori di bordo e i raccomandatari.
I dispacci più rilevanti erano i rapporti dei Capitani che lo informavano sulle provviste, sugli equipaggi, sullo stato di manutenzione della nave, sulle provviste necessarie e sullo stato del carico. Alcuni di quei messaggi erano addirittura codificati per non farli consultare alla concorrenza!
Veliero in cantiere
Dato che Camogli offriva poco spazio e prodotti per la manutenzione delle sue navi, il gran fabbisogno giungeva da fuori: l’armatore aveva rapporti soprattutto coi cantieri genovesi oppure con quelli di Recco o Varazze.
Al pomeriggio era impegnato alla pianificazione dei viaggi e del carico: per ottimizzare il profitto di ogni nave, doveva accordarsi con i suoi noleggiatori fidati che le stive delle unità fossero piene sia all’andata che al ritorno, senza dimenticare che in porto si doveva restare solo il tempo necessario alla movimentazione delle merci.
Verso la fine della giornata nello scagno, De Gregori dava una veloce occhiata alle nuove tecnologie in campo marittimo, come nuovi materiali per le vele, nuovi strumenti di navigazione o moderne tecniche di costruzione navale, così da migliorare l’efficienza operativa e rimanere competitivo sul mercato.
La Chiesa di Camogli in un’immagine d’epoca
Verso sera, si riposava con la sua famiglia. Le navi erano in normale esercizio, le condizioni meteorologiche riportate erano soddisfacenti, i carichi puntualmente caricati e consegnati. Con la sua consorte, si recava al Vespro alla vicina Chiesa; terminata la funzione, discorreva con altri armatori sia di affari ma anche della possibilità di far costruire finalmente a Camogli un ospedale, un teatro e forse anche una casa di provvidenza per gli orfani dei marinai. Del resto, le promettenti risorse economiche l’avrebbero largamente permesso…
Bruno Malatesta
(- testo ispirato da “Soprannomi (nomiaggi) degli Armatori e dei Capitani di Camogli di Pro Schiaffino;
– immagini: archivio Ferrari & IA)