Miami – Nassau – San Juan PR – St Thomas: questo fu il primo itinerario che lanciò nel mondo turistico il gran business delle crociere nei Caraibi. Erano gli anni ’70 e ben presto, le compagnie armatrici individuarono nuovi porti alternativi, tra questi, Sint Maarten (Saint Martin), un’isola la cui metà è nazione costitutiva olandese e l’altra,collettività d’oltremare francese.
Le navi attraccavano ad un vecchio pontile nella parte sud dell’isola, chiamato Witte Kaap.
Anni ’70: nave da crociera al pontile di Sint Maarten; sullo sfondo, il Witte Kaap
Era un incubo per i Comandanti ormeggiare a quel molo: la sua posizione lo rendeva esposto al mare lungo oceanico, poi la banchina era appena lunga una cinquantina di metri e non c’erano rimorchiatori, a quel tempo pressochè indispensabili per le manovre. Insomma, o tu eri bravo ad arrivare a circa 10 metri dal pontile governando anche una nave a turbina (e quindi con una certa isteresi nei comandi di macchina) oppure (come nella maggior parte dei casi) dovevi affrontare un’interminabile manovra d’accosto per virare i lunghi cavi di prora e poppa e quindi guadagnarti metro dopo metro l’avvicinamento all’agognato ormeggio. Certe manovre duravano anche due ore, specialmente quando l’aliseo (dopo chissà quanti vortici) tendeva a “straccare” la nave. Lo scenario poi non aiutava: proprio davanti alla prua c’era appunto il Witte Kaap, le cui minacciose rocce erano infatti imbiancate dalle onde dell’Atlantico. Per farla breve, ricordo che una volta, dopo la lunga manovra, il primo passeggero che sbarcò sul pontile, baciò il suolo…
Sint Maarten attirava i crocieristi: intanto perchè i suoi fiorenti negozi “duty free” erano concorrenziali con quelli di St Thomas nelle isole Vergini USA, poi perchè nella parte francese potevi trovare dei deliziosi ristoranti e interessanti boutiques, generalmente rari nei Caraibi anglofoni.
In quei dintorni, noi marittimi avevamo ovviamente i nostri punti di riferimento: per esempio un bar (?) situato proprio sotto il pontile, dove l’atmosfera avrebbe fatto inorridire lo stesso Jack Sparrow! Ovviamente i passeggeri non lo frequentavano, c’erano invece tanti membri d’equipaggio di altre navi, di altre imbarcazioni da pesca. Sotto i piedi riuscivi a scorgere il fondo marino nell’acqua limpidissima, resa tale dalle forti correnti della zona.
Dopo un’ottimo bicchiere di rhum, il taxi ci portava nel piccolo centro commerciale dove c’erano negozi e ristoranti, tra questi uno era il “Portofino”.
La proprietaria del locale, la “scignua”, era davvero di Portofino e ci parlava in genovese. Dopo aver vissuto per qualche tempo a New York, con suo marito che era musicista, decise di aprire quell’attività nell’isola; purtroppa appena arrivarono a Sint Maarten, rimase vedova. Per noi era un punto fermo andarla a trovare e lei ci faceva trovar pronti pasta al pesto, focaccia e verdure ripiene, ci pareva d’essere un pò a casa, parlavamo infatti spesso di Camogli e Portofino. Dalla terrazza del ristorante, vedevamo la nostra nave, nelle cui vicinanze erano ormeggiati numerosi pescherecci coreani.
Ufficiali di Coperta su una nave da crociera degli anni ’70 che aveva nell’itinerario anche Sint Maarten
Il nostro giro sull’isola continuava verso un “appena sufficiente” pontile galleggiante dove approdavano le lance delle navi alla fonda che sbarcavano i passeggeri. Andavamo là perchè se affollato, quello scenario era di uno spasso incredibile. Infatti capitava che persino quattro lance erano insieme all’approdo, magari dopo aver effettuato una millimetrica manovra. E proprio per questioni di spazio, i loro equipaggi imprecavano, nelle diverse lingue, verso chi gli rallentava l’accosto all’ormeggio. Ecco allora i coloriti greci che urlavano ai più pacati norvegesi, i quali li ignoravano. Poi c’erano gli olandesi che se la prendevano con i centroamericani, insomma una Babele nautica!
Infine facevamo un giro per negozi, per vedere se l’ultima macchina fotografica era conveniente rispetto all’Italia e portarla così a casa al termine dell’imbarco.
Così rimase “la nostra” Sint Maarten per parecchi anni.
Imbarcai su altre navi, in altri itinerari. Dopo molto tempo, ritornai a Sint Maarten per un ciclo di crociere. Il vecchio pontile era stato sostituito da uno più lungo e riparato, dove potevano anche ormeggiare quattro grosse moderne navi. Il bar di Jack Sparrow era scomparso, come scomparse erano le varie imbarcazioni da pesca coreane. Lo scenario di quell’approdo era radicalmente mutato. Nel convulso “downtown” erano comparsi nuovi esercizi commerciali ad impronta americana. Del ristorante “Portofino” non v’era più traccia. Persino il pontile per le lance delle navi alla fonda era deserto: il nuovo grande pontile permetteva infatti a tutte le unità da crociera di andare in porto. Entrai in un negozio di articoli fotografici, avevo una piccola lista di articoli per verificarne il prezzo: appena contattata l’Italia con lo smartphone, mi fu detto che era più conveniente acquistarli a Genova!
Nelle crociere seguenti non uscii più in quel porto, il ricordo dell’isola doveva essere per me quello degli anni ’70, schietto e saporito; il progresso aveva tristemente fagocitato una parte del mio passato.=