Nel 1882, il grande brigantino a palo Möu (moro in genovese) effettuò un lungo viaggio transoceanico. Il significativo giornale di navigazione dell’itinerario è stato pubblicato tempo fa sul Quaderno nr. 12 del Civico Museo Marinaro “G.B. Ferrari” di Camogli. Il veliero era stato costruito nel 1875 a Lavagna presso il cantiere di Gabriele Brignole. Il suo armatore era Nicolò Bozzo, ramo Möu appunto: è rilevante il fatto che quella famiglia prese il “nomiaggio” da una delle sue navi, forse la più importante. Era lunga 54 metri e la conducevano 18 persone d’equipaggio.
1899: il cantiere di Gabriele Brignole tra la riva e le case di Lavagna. Nel riquadro si notano i tre alberi di un brigantino in costruzione con la prua rivolta a mare
Al Comando c’era il camogliese Giuseppe Bozzo, coadiuvato dal suo secondo, lo Scrivano Emanuele Pezzolo, anch’egli della nostra Città. Il giornale di navigazione che abbiamo citato sopra, pare fu realizzato in copia dallo stesso Pezzolo e da lui donato al Museo. Come detto, la navigazione fu molto lunga e ciò per la scarsità di venti favorevoli. Il veliero partì da Pathein (nell’attuale Myanmar), diretto a Bremerhaven (Germania) via Atlantico, con le stive piene di sacchi di riso. Fece un’unica sosta per provviste all’isola di Sant’Elena e dopo sei mesi arrivò finalmente a destinazione.Il viaggio del Möu dall’Asia all’Europa. Il percorso fu di circa 12.000 miglia nautiche (22.000 chilometri)
Uno dei Möu, Luigi Bozzo, quando si collocò nel buen retiro di Camogli per trascorrervi la vecchiaia, desiderò lasciare una traccia tangibile di quella nave che apparentemente gli fu tanto cara. Ebbe la visione di costruire un grande modello di due metri e mezzo (quasi in scala 1:20!), avvalendosi – presumiamo – dei piani originali della nave. Bozzo aveva un suo “scagno” – che usava anche come deposito – nell’allora piazza Vittorio Emanuele (attuale Amendola), chiamata “Palmasecca” dai Camogliesi ancor oggi. La sua intenzione fu quella di realizzare un’opera simile all’originale e, per assicurarsi il successo in quel compito, contattò il più abile dei maestri d’ascia del cantiere sullo Scaletto.
Primo Novecento: piazza “Palmasecca”. E’ possibile che i tre fusti accanto all’aiola centrale siano le piantumazioni di altrettante palme che sistematicamente “seccavano”…
Fu un lavoro di squadra. Luigi controllava quotidianamente i progressi della costruzione, la quale seguiva pari passo le fasi di assemblaggio di un cantiere reale. Il maestro d’ascia riportava lo stato d’avanzamento dell’opera direttamente all’ex armatore. “Alle dipendenze” di quell’esperto carpentiere v’era un nutrito gruppo di abitanti della piazza, specialmente vari giovani, che erano orgogliosi di poter riordinare, rifinire o comunque risistemare gli innumerevoli pezzi da lui magistralmente “incastonati” nella struttura di quella riproduzione.
Particolare della prua del modello: notare la polena sottostante al bompresso raffigurante il Moro, i verricelli per l’uso delle ancore, la campana che segnala quanta catena è stata filata in mare
Ecco quindi la posa iniziale della chiglia, cioè la spina dorsale della nave; perpendicolarmente ad essa si diramavano le “costole”, cioè le ordinate. E poi il torello e il controtorello, i madieri, il paramezzale, il puntale e i bagli, il fasciame poi univa le ordinate in maniera longitudinale e lo scafo risultante era coperto dagli assi trasversali, cioè la coperta: insomma, il corpo del veliero prendeva forma.
Particolare della parte centrale: notare il fasciame della murata, il complesso impianto del sartiame, gli alberi di rispetto alloggiati in coperta
E poi i tre alberi principali con i loro pennoni, tutte le manovre “fisse e correnti”, le pulegge e le bigotte. Era una giungla di attrezzature e nomenclature nella quale quegli appassionati artefici si destreggiavano abilmente e con entusiasmo.
Particolare della poppa: notare i buglioli antincendio sulla copertina prodiera della tuga, il fanale rosso di sinistra nave, i dettagli artistici dei passamano
Infine, dopo che lo splendido modello venne completato, fece certamente bella mostra nella casa di Bozzo, dopo di che, venne donato al Civico Museo Marinaro “G.B. Ferrari”.
Il modello completo: è lungo circa 2,5 metri; notare che non sono state assemblate le 22 vele in dotazione, probabilmente per non occultare la splendida e dettagliata struttura marinaresca degli alberi
Questo scritto desidera evidenziare l’amore che i Camogliesi avevano per la loro tradizione marinara. Soprattutto i giovani parteciparono con senso di fierezza ad erigere quella nave, simbolo dello strumento di benessere della gente d’allora.
E il modello del Möu emerge ancor oggi tra i numerosi reperti del Museo Marinaro, sia per la sua grandezza e sia per i fantastici particolari costruttivi.
L’opera ci ricorda infine ciò che annotò chi era di guardia in coperta della nave durante i tedi del vento che non c’era:
“Fugge rapido il tempo e col tempo la vita; con la vita le forze fisiche scemano, le morali languono per l’astratto ambiente in cui vivono. Decisamente questo non è il mezzo più acconcio all’esistenza di chi, creato per l’infinito, sente
veemente il desiderio di gioie e bellezze che non muoiono.” =
– Notizie tratte da Quaderno nr. 12 “Giornale di Navigazione del brigantino a palo “Möu”, pubblicato dal Civico Museo Marinaro “G.B. Ferrari” di Camogli e da
– “I mille bianchi velieri della Città di Camogli” e “Soprannomi (nomiaggi) degli Armatori e dei Capitani di Camogli” di Pro Schiaffino;
– Immagini museali del modello del Möu: Archivio Capitani Camogli;
– Immagine di Piazza Palmasecca: Archivio Ferrari;
– Immagine del Cantiere Brignole di Lavagna tratta da “Il Secolo XIX” del 20/1/2014, articolo “Quei sogni di legno in miniatura creati dalla passione di Lagorio” a firma Mario Dentone (concessa dall’autore).