Era il 14 gennaio 2012. Partenza da Rio De Janeiro, tempo buono, manovra facile, si mollarono gli ormeggi, tutto bene. In quel momento non soltanto ordinai di allascare e recuperare i cavi della mia nave ma lasciavo un porto, al Comando, per l’ultima volta della mia vita. Lasciavo un porto…e che porto! Rio de Janeiro, insieme ad Istanbul e Venezia, erano i miei approdi preferiti.
Navi in porto a Rio de Janeiro
La partenza di una nave da crociera da Rio non è normale. I passeggeri popolavano gli alti ponti esterni con le loro macchine fotografiche, con i loro sorrisi, con il loro entusiasmo per l’inizio della vacanza sul mare, la vacanza più bella. Loro guardavano le magnificenze della baia di Guanabara, il Corcovado, il Pan Di Zucchero, io guardavo le boe del canale navigabile. Il Pilota mi conosceva da tanti anni: sapeva che quell’acqua la conosco come lui. Eppure quel giorno mi vedeva più concentrato e più attento, con gli occhi dappertutto; esigevo frequenti “punti nave”…
La Direttrice di crociera mi si avvicinò col suo foglio e mi chiese il permesso di cominciare l’annuncio di partenza nel quale illustrava agli ospiti le bellezze che stavamo per vedere ed il percorso che stavamo per fare fra la familiare montagna del Pan di Zucchero e l’isola che ha davanti, nello stretto passaggio del canale per i grandi pescaggi, per navigare – infine – lungo la spiaggia di Copacabana. Un passaggio di pochi minuti, durante i quali i passeggeri impazzivano di eccitazione per quello che vedevano, per quello che “noi” facevamo loro vedere per la loro gioia, per rendere la loro crociera indimenticabile. Quel passaggio lo facevo da più di vent’anni, anche senza Pilota, perchè mi piaceva farlo, perchè si poteva fare in sicurezza e perchè nel mondo delle crociere fa parte del nostro mestiere.
Agguantai la Direttrice per il polso e le dissi: oggi no! Lei mi guardò negli occhi e capì. Non disse una parola.
Sbarcammo il Pilota ancora nella baia, ma appena fummo al traverso della fortezza di Santa Cruz ordinai la prora 180°, cioè Sud. Gli Ufficiali mi guardarono, non capivano perchè dirigevo in mare aperto invece di infilarmi nello stretto per andare a Copacabana come facevo da sempre. Una ragione c’era, una ragione grave: il giorno prima era naufragata la Costa Concordia all’isola del Giglio!
Navi in porto a Rio de Janeiro
Il 16 gennaio arrivammo a Salvador de Bahia. Presi la direzione della manovra, l’ultima della mia vita, ridussi la velocità in avvicinamento all’imbarco del Pilota. Ridussi ancora perchè eravamo già in acque ristrette.
Chiamata improvvisa del Direttore di Macchina: non avevamo più la corrente 220 e forse stavamo per perdere la 440!
Chiesi: abbiamo la propulsione?
Quella sì!
Abbiamo il governo?
Non lo so, controllate!
Provai il timone, ce l’avevo. I radar funzionavano. Chiamai il Direttore per informarlo.
Lui mi anticipò: Comandante, stiamo per perdere tutto!
A dritta la costa era troppo vicina; urlai di controllare l’acqua a sinistra. Mi dissero che avevo mezzo miglio franco. Andai tutto a sinistra con il timone che funzionava ancora e fermai le macchine. Si stava avvicinando il Pilota per imbarcare; la biscaglina era già pronta. Salì a bordo. In quel momento tremarono le luci. Il Direttore mi chiamò sul telefono d’emergenza (gli altri telefoni non funzionavano): Comandante, stiamo per rimettere tutto alla via!
Quanti minuti?
Dieci.
Dopo pochi minuti arrivò il Pilota sul ponte. Mi chiese: “Tudo ben”? “Sì, tudo ben…”.
Arrivò la 220, poi la 440 poi tutto il resto eccetto uno dei due propulsori trasversali di poppa: non era importante, non c’era vento. Rimisi le macchine avanti e manovrai normalmente. Anche quel Pilota mi conosceva da tanti anni.
Siamo arrivati bene… vado in pensione!
CSLC Giuseppe Casini Lemmi – Foto dell’archivio autore