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Il racconto del Rif

In quell’assolato pomeriggio d’agosto del 1897, era impossibile sfuggire alla depressione e al terrore.
Non sapevano quale sarebbe stata la loro sorte, fortunatamente avevano cibo ed era permesso loro di scrivere a casa.
Il Capitano Emanuele Razeto di Camogli, il Nostromo Georgije Petrovijch e il Marinaio francese Paul Peynant erano stati catturati dai pirati del Rif quando il loro barco-bestia (cioè best-bark, nave goletta) Fiducia si trovava in navigazione a Nord delle coste marocchine, diretto in Italia. I pirati chiedevano un riscatto per la loro liberazione, ma il tempo passava e la mancanza di buone notizie era un rettile che si insinuava in modo velenoso nelle loro menti oltremodo stressate e deboli.

Lo scenario delle vicende della “Fiducia”: l’area geografica
era teatro di grandi fermenti geopolitici

Forse l’unico che arginava i danni di quella costrizione era il ventenne Peynant che aveva iniziato una tresca con Shayza, una stupenda ragazza berbera che viveva nella loro casa-prigione. Sarà stato forse per l’età, che tra i due nacque un’appassionata relazione. Il francese dava segni di non poter controllare il suo rapporto con la giovane. I carcerieri tolleravano quella coppia, forse a loro bastava che i tre detenuti fossero in salute così da permettere di incassare il preteso riscatto. Forse, complice fu il provocante e luminoso “taounza” che adornava il volto ed accentuava il fascino della ragazza tanto che il marinaio – provato da quei compulsivi contatti – iniziò a deperire giorno dopo giorno.
Addirittura, il francese scrisse alla preoccupata madre che lui non sarebbe più ritornato a casa, anzi, desiderava fermarsi chissà dove e vivere per sempre con Shayza. Aveva perso la testa e perse anche la salute, poichè dopo qualche settimana morì.
Fu raggiunto di conseguenza un accordo col governo francese che inviò dinnanzi alla spiaggia di Alhucemas una nave da guerra che imbarcò la salma del giovane. Shayza in lacrime, seguì con immensa tristezza quel corteo che spariva all’orizzonte.
Passarono altri due mesi in quella casa, che era di Carmen Agy, il capo di quella comunità di predatori. Si trovava sulle montagne del Rif, cioè la regione dell’Africa settentrionale dove, secoli prima, i pirati e corsari barbareschi avevano insediato i loro covi. In quella località, i prigionieri perdevano la speranza che il loro riscatto fosse finalmente pagato.
Le donne che lavoravano in quella casa erano molto belle e gentili, use a tutti i tipi di lavori. La casa di Carmen Agy era costruita su quel monte insieme ad un’altra quarantina di dimore, abitate da montanari o pirati, secondo le circostanze. Gli uomini erano robusti, agilissimi, eccellenti tiratori e disprezzavano il pericolo quando affrontavano l’infedele. Più di una volta i capi delle famiglie si riunivano per decidere la loro sorte. Erano molto sorvegliati, il loro cibo e la loro posta ispezionata minuziosamente.

Dipinto su tela olona dell’arrembaggio piratesco alla nave goletta “Fiducia” nel 1897 (lavoro conservato al Civico Museo Marinaro “G.B. Ferrari” di Camogli)

In quelle lunghe giornate di detenzione, il Capitano Razeto rifletteva su cosa era successo alla sua nave.
La mattina del 16 agosto 1897, cioè tre mesi prima, la Fiducia proveniva dal Nord America, carica di legname. Quando si trovò nei pressi nell’insenatura di Alhucemas, furono avvistate due imbarcazioni piratesche. L’equipaggio fu immediatamente allertato: il nostromo Petrovijch aveva una pistola con varie pallottole, gli altri si armarono di coltelli, ferri e bastoni. Le due fuste con sei persone d’equipaggio ognuna, comandate dal famigerato Alushy, si avvicinarono: i predatori più agili erano armati di fucili, gli altri remavano.


Immagine di una fusta, che in pratica era una galea di piccola misura

Purtroppo il vento era insufficiente per una buona velocità del veliero; ovviamente quella condizione meteorologica era stata ponderata dagli assalitori in precedenza. Alushy fece segno di accostare la nave verso costa, con la minaccia di un fucile. Razeto ordinò allora di issare la bandiera italiana e in spagnolo disse ai pirati che intendeva proseguire la sua legittima navigazione. Il vento intanto calò ulteriormente e la nave fu perciò in totale preda degli assalitori. In quei concitati momenti, Razeto convinse il nostromo a non sparare per evitare una strage. Mentre salivano a bordo, i pirati vollero che le due scialuppe della Fiducia fossero ammainate in mare per requisirle. Il capitano e il nostromo furono i primi ad essere minacciati con le armi in volto, dopo di che, i pirati rapinarono tutto, anche i gli indumenti e i sestanti. Volevano sapere dov’era la cassaforte, ma l’unico denaro rimasto erano 6 dollari americani. Poi dichiararono a tutto l’equipaggio che se non uscivano i soldi grossi, avrebbero ucciso prima il Capitano e poi gli altri. Visto che non ottenevano soddisfazione, decisero infine di sequestrare Razeto, il Nostromo e il Marinaio francese, Paul Peynant appunto. Nel pomeriggio, i tre furono imbarcati su una delle fuste, mentre su una scialuppa del veliero che era in mare, caricarono il bottino. La Fiducia fu lasciata sotto la direzione del Secondo Ufficiale e del resto dell’equipaggio. Quando le imbarcazioni berbere arrivarono nella spiaggia della baia di Alhucemas, i pirati si divisero quanto avevano requisito, dopo di che, i tre furono condotti sulla montagna, nella casa prigione.

I pensieri di Razeto vennero interrotti dalla notizia che il viceconsole francese di Tetouàn era quel giorno al cospetto di Carmen Agy, per trattare finalmente la loro liberazione! Infatti, qualche giorno dopo lasciarono la casa nella montagna.
Furono quindi condotti in spiaggia, nell’insenatura di Alhucemas per essere trasportati sull’isolotto spagnolo omonimo che si trova poco distante da terra. Poco prima di imbarcare, Razeto fu inspiegabilmente trattenuto da un pirata, il quale minacciava di ucciderlo. Shayza che era nei pressi, evitò la tragedia, trattenendo il predatore.

I due prigionieri furono condotti quindi a Tangeri, poi a Gibilterra, dove la nave da guerra Lombardia ricondusse il Capitano finalmente in Italia.
Quell’esito positivo avvenne grazie alla diplomazia italiana, spagnola e francese. Fu pagato il riscatto al capo pirata Alushy (che era sempre stato in contatto con Carmen Agy), ma tutti gli altri predatori furono condannati a morte. Il governo marocchino risarcì l’Italia con una significativa indennità per la perdita della nave, per la prigionia del Capitano Razeto e per i disagi patiti dall’equipaggio. La nave goletta Fiducia presumiamo fu condotta dal Secondo Ufficiale e il resto dell’equipaggio in zona spagnola sicura, tanto è vero che la nave continuò a solcare i mari ancora ai primi del ‘900.
Fotografia del Capitano Emanuele Razeto, “Rif Carmen”, realizzata a Camogli nel 1910, durante una riunione della Società Capitani e Macchinisti Navali

Al suo ritorno a Camogli, Emanuele Razeto si guadagnò il nomiaggio di “Riff Caiman” che invece, riteniamo dovesse essere corretto in “Rif Carmen”.

L’instabile regione del Rif, anni dopo la prigionia di Razeto, fu teatro di cruente battaglie tra nazioni europee e i residenti berberi, ma questa è un’altra storia…=

(tratto dal Quaderno nr.6 del Civico Museo Marinaro “G.B. Ferrari” di Camogli;
immagini archivio Capitani Camogli e Pubblici Domini).

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