(…parlando un pò delle nostre cose…)
Tempo fa, in un pomeriggio uggioso, nella nostra Sede s’era stanchi dei classici discorsi da bar, politica, sport e indignazioni di giornata. E così – finalmente diremmo – s’accese una vivace discussione. Tra di noi c’era la consapevolezza che il settore tecnico di bordo stava mutando rapidamente. Un esempio emblematico era il tramonto del sestante, attrezzo-simbolo della professione marittima; ma anche lo stesso profilo di una nave moderna aveva ormai poco in comune con le forme di solo vent’anni prima, insomma, i cambiamenti erano quotidiani.
L’entrata della nostra Sede di via XX Settembre
Nell’occasione, si avviò un energico scambio di opinioni su certi apparati rimasti inviolabili, cioè quelli che – nonostante tutto – resistevano alle modifiche del progresso. Uno di essi era l’ancora di posta. Ancòra (scusate l’accento) oggi, quel dispositivo, tra l’altro assolutamente necessario per bloccare in estreme situazioni la nave senza governo, è presente sulla prora delle grandi navi e, su quelle da crociera – qualcuno specificava – viene receduto per scelte estetiche, nell’occhio di cubìa.
Un Socio appassionato delle cose di bordo d’ogni epoca, rifletteva ad alta voce proprio sulla “storia” della cubìa.
“Questa struttura situata a prua (raramente a poppa), è una grande condotta che attraversa il mascone, permettendo così all’ancora ed alla sua catena di poter essere manovrate su e giù dalla nave! Nella parte interna, la cubìa termina nel pozzo della catena, mentre in quella esterna finisce appunto nel suo occhio!”
Sovrapposizione grafica dell’occhio di cubìa con quello di Horus
Il Socio affermava inoltre che quel marchingegno, utilizzato da secoli, riconduceva all’icona (appunto un occhio) dipinta sulle prore delle navi egiziane e greche, per assicurarsi la protezione del dio Horus!
“Purtroppo, dell’origine del nome cubìa, si sa ben poco, anzi, le informazioni che abbiamo oggi svaniscono nelle innumerevoli pieghe del passato!”
Durante quell’amichevole chiacchierata, un altro Socio intervenne:
“Sì, la cubìa era rilevante, ma tutta la sua importanza marinara ruotava intorno a sua maestà l’ancora! Basta pensare alla complessa nomenclatura per intuire che il suo utilizzo richiede una solida esperienza nautica, necessaria a manovrarla nelle svariate occasioni che richiedono il costante legame tra nave e fondo marino!
Parti dell’ancora: a. Fusto – b. Diamante – c. Marra – d. Patta
e. Unghia f./g. Occhio e cicala – h. Ceppo – i. Cima d’ormeggio (tratta da Wikipedia, Pubblico Dominio)
Allora pensiamo per esempio” – proseguì – “alla difficoltà di informare il Capitano che si trova in plancia, a diverse decine di metri di distanza, su cosa si è impigliato nell’ancora mentre la si salpava, magari in vicinanza del diamante, oppure – quando si dà fondo – confermare che l’ancora ha fatto testa e la catena sta rendendo! Per ottimizzare queste comunicazioni oggigiorno, sono certamente utili dispositivi avanzati come videocams o sensori vari, ma è evidente che il rapporto via radio tra due persone competenti fa la vera differenza!”
Un terzo Socio entrò in quello che iniziava ad assumere le sembianze di un dibattito.
“Sulle navi che ho frequentato, ho notato che la manovra delle ancore era solitamente riservata agli ufficiali più anziani: infatti l’uso improprio di quel dispositivo può causare gravi problemi alla struttura e alla sicurezza della nave stessa! Ricordo che, con una vecchia carretta approdavamo a porti sprovvisti di rimorchiatori, dove succedeva spesso di fondare l’ancora esterna – cioè quella opposta a terra – prima di accostarsi al pontile; utilizzavamo poi la stessa per allontanare l’unità dagli ormeggi quando si ripartiva.
La prora di una nave. Gli argani per manovrare le ancore sono appena visibili a sn e dx sotto il passamano
Ma attenzione” – continuò – “il “territorio” delle cubie e delle ancore non era esclusivo del personale di coperta: quest’ultimo s’occupava generalmente della manutenzione ordinaria, tipo pitturazioni e ingrassaggio; il personale di macchina (operai o elettricisti, etc.) invece era responsabile della parte tecnica degli argani che muovono catene e ancore. Cioè voglio dire che il buon funzionamento per fondare e salpare un’ancora, dipendeva infine dal lavoro della squadra coperta-macchina!
A volte era vita dura aver a che fare con le ancore. Le stesse e le loro catene dovevano essere lavate durante il loro rientro nel pozzo. E’ intuitivo infatti che certi fondali sono ricchi di fango, come per esempio nei pressi della foce di un fiume. Si verifica che quando l’ancora tiene bene la nave, anche la sua pesante catena viene seppellita nel fango e al momento di essere salpata, tali detriti devono essere espulsi immediatamente tramite lavaggio a pressione, altrimenti si rischia di incementare il pozzo delle catene con ovvie complicazioni sulla sicurezza della navigazione. Pensate che su quella vecchia carretta, si usavano addirittura pale e picconi per ripulire il fango solidificato nel pozzo!”
L’ancora tipo “Hall” della corazzata tascabile “Graf Spee” affondata davanti a Montevideo (foto C. Zaniboni)
Un Socio che era stato taciturno fino ad allora, intervenne preoccupato: “Per non parlare dell’incubo che si viveva anni fa: l’ancora storta! Tale inconveniente si verificava quando il fuso rientrava girato nell’occhio di cubìa, oppure le stesse marre mobili (dell’ancora tipo Hall) erano girate contro lo scafo, per cui l’ancora stessa non poteva essere alloggiata correttamente nell’occhio e ciò poteva costituire un grosso problema quando la nave si sarebbe mossa in mare aperto! D’altro conto, l’ufficiale addetto alla manovra intuiva se l’ancora saliva storta oppure con le marre girate verso lo scafo, per cui attendeva qualche minuto nella speranza di poterla girare correttamente. Allora si ridava fondo nella speranza che marre e catena si raddrizzassero, oppure la si faceva fluttuare in acqua alta, con la nave in leggera velocità in avanti: certe volte, quell’operazione ritardava la partenza della nave anche di qualche ora. Probabilmente un ingegnere navale suggerì nei tempi successivi di applicare delle barre nei pressi dell’occhio, così da permettere al fuso di alloggiarsi correttamente ma anche alla catena di non strisciare troppo sul mascone!”
Barra sottostante l’occhio di cubìa
A quel punto, la conversazione era diventata fonte di commenti per tutti i Soci. Il tempo passava rapidamente e s’avvicinava l’ora di cena.
Un Socio più giovane intervenne per ultimo, informando quel gruppo di alcune considerazioni tecnologiche.
“Eh sì, molte cose sono mutate o – se volete – progredite da tempo! Visto che parliamo di ancora e cubìa, non riesco ancora a pensare ad un apparato alternativo! Oggi sulle navi esistono di fatto degli oggetti atavici come l’ancora appunto, oppure pensate alle bandiere o ai fanali per esempio: chissà se mai verranno sostituiti! E si verifica pure un’inversione di tendenza: in certe situazioni, la propulsione meccanica potrebbe essere sostituita nuovamente da quella eolica, riportando così la tecnologia navale ai primi del ‘900! In quell’epoca, nessuno avrebbe mai pensato a risparmi energetici o cambiamenti climatici!”
In navigazione nel Golfo di Botnia (Finlandia): notare gli argani delle ancore con relative catene (immagine di Maurizio Brescia)
E dopo queste riflessioni, la Sede rimase presto deserta, i Capitani ritornarono verso casa sotto la pioggia battente, tra un pensiero e l’altro. Con la mente imbevuta di nostalgia, rivivevano una splendida e lontana giornata di Sole: durante la manovra d’arrivo, si “appennellava” l’ancora, osservando davanti alla prua l’incantevole baia caraibica con le motobarche che attendevano sul punto di fonda, impazienti di trasportare i passeggeri a terra. Invece verso poppa, si notavano i casseri affollati di ospiti variopinti, impazienti anch’essi di visitare quell’esotico approdo…