Prendiamoci una pausa dalle sbornie di intelligenza artificiale e dai viaggi esotici: il clima invernale ci invita a conversare al calduccio sull’umorismo di certi armatori ottocenteschi, il cui esuberante spirito trovava espressione perfino nella scelta dei nomi delle loro navi.
Assegnare il nome a un’imbarcazione è sempre stato un processo complesso e ricco di sfumature. Le fonti d’ispirazione spaziano dai nomi di famiglia a località care all’armatore, da personaggi storici o politici a semplici invenzioni di fantasia. A Camogli, dove l’attività marittima era strettamente intrecciata con le vicende dei nuclei familiari, la scelta del nome di una nave rispecchiava spesso sentimenti e dinamiche sociali: rivalità, amicizie, ambizioni e persino invidie. La nave, d’altronde, non era solo un mezzo per solcare i mari, ma l’estensione stessa della propria impresa e identità.
1910 circa: immagine Unione Marittima Camogliese: il primo seduto al centro verso destra è il noto Sindaco Davide Olivari (immagine Archivio Ferrari)
Una ricerca condotta tempo addietro mise in luce come certi armatori, definiti da alcuni“stōndäi”, cioè eccentrici e creativi, battezzarono i loro velieri con nomi tanto insoliti quanto evocativi.
Non mancarono perciò scelte singolari: si racconta di un armatore con un peculiare difetto di pronuncia (e uno spiccato senso d’ironia), il quale volle dare alla sua nave un nome che ne fosse il riflesso diretto, fu battezzata così la veloce “Pefetta” che solcò i mari di mezzo mondo!
Si narra poi di un brigantino chiamato “Passò quel tempo Enea”, espressione malinconica che sottolineava un’occasione ormai perduta, forse un affare sfumato o un’opportunità mancata. Un altro imprenditore commissionò la costruzione di due brigantini gemelli, assegnando loro i nomi “Sì” e “No”, quasi a voler rappresentare la dualità dell’animo umano, in un confronto che richiama il concetto orientale di Yin e Yang.
“Si” e “No”
Un caso curioso fu quello di un armatore che perse in mare un veliero particolarmente redditizio e manovriero: nel sostituirlo con uno nuovo, decise di chiamarlo “Stesso”! Proprio qui è doveroso ricordare anche l’antica tradizione di anteporre l’aggettivo Nuovo al nome della nave precedente, per onorarne la memoria.
Un altro, possessore assoluto di un brigantino e poco incline alla condivisione, non lasciò spazio a dubbi e lo chiamò semplicemente “Mio”!
Forse per spirito beffardo, o forse per puro divertimento, un proprietario decise di chiamare la propria nave “Come voi”. L’effetto era garantito: in alto mare, alla classica richiesta di riconoscimento “Come vi chiamate?”, la risposta generava inevitabilmente confusione e sconcerto. Forse si trattava di un piccolo scherzo destinato a complicare la vita del capitano!
“Mi amerai”
Infine, una storia romantica. Avevamo narrato tempo fa la triste vicenda dei due giovani innamorati, il capitano di una nave e la sua promessa sposa. Purtroppo il capitano non fece più ritorno. Il giovane aveva pianificato inutilmente di navigare con la sua amata moglie.
Per equilibrare questo grigiore, ricordiamo invece quella di un altro giovane capitano rivierasco che, per superare una delusione amorosa, battezzò la sua nave “Mi Amerai”, quasi fosse un voto di speranza. Il destino volle che, dopo qualche tempo, la ragazza che lo aveva rifiutato tornasse sui suoi passi: i due si riavvicinarono e navigarono insieme per lungo tempo su quell’unità che, a quel punto, era diventata il simbolo del loro amore ritrovato.=
Bruno Malatesta
(Tratto da “I mille bianchi velieri della Città di Camogli” di Pro Schiaffino; “Stōndäio” nel dizionario di Giovanni Casaccia è colui che è il lunatico, bisbetico, incostante, che ha la mente distratta; invece, il termine “peFetta, cioè difetto di pronuncia, non ha trovato riscontri su Casaccia, vari GPT e Google, però quand’ero ragazzino lo sentivo dire…).