E’ questa una delle pittoresche descrizioni che il commendatore Giovanni Bevilacqua dà dei suoi quattro velieri ed è pure una delle battute d’inizio della commedia brillante “Colpi di timone” di Enzo La Rosa, interpretata dall’indimenticato Gilberto Govi. E’ probabilmente l’unico lavoro teatrale del grande artista che ha così tanti richiami al mondo del mare e dei naviganti nostrani.
Tranquilli, non invaderemo il territorio storico-artistico di nessuno, cercheremo invece di intendere come erano descritti i capitani e il loro mondo in quei tempi passati.
Il lavoro è del 1935, la rappresentazione vede come personaggio principale un Sindaco – cioè un controllore di conti ed attività – di un’importante ditta fornitrice di bordo, la “Provveditoria Ligure”, operativa nel 1940 a Genova. Giovanni è un ex capitano di velieri ed è pure l’armatore delle unità citate all’inizio.
Scena d’inizio della commedia (You Tube)
Del resto lo si intende nella scena iniziale della commedia: nello scagno di Bevilacqua fa bella mostra di sé uno splendido modello di nave goletta, quella detta in inglese best-bark e ridetta in gergo da noi “barco bestia”. In realtà quel tipo di navi operò sino a circa gli anni ’20; per soddisfare comunque i tempi della vicenda, diciamo che era possibile trovare alcuni esemplari anche sino ai ’40. E’ forse questo uno degli aspetti radicali dell’ambiente di scena: nonostante i piroscafi fossero già largamente utilizzati al tempo della narrazione, il protagonista si ostina a vivere l’impresa marittima all’antica.
Velieri nei pressi della costa ligure
E lo sottolinea in un altro momento d’inizio, quando afferma che ha iniziato a lavorare sui velieri da giovane mozzo fino ad ottenere la qualifica di capitano padrone, autorizzato cioè a condurre navi solo nelle acque mediterranee e ciò dovuto al fatto di non aver studiato ulteriormente. Diciamolo, Bevilacqua è certamente un capitano all’antica e tale caratteristica viene percepita quando dice inoltre che doveva rimanere a bordo, la sua dimora era il mare, gli manca quella vita sana: l’aria intrinsa di sale che lo proteggeva dalle malattie! Il personale di bordo poi, era formato da coloro ai quali voleva bene, insieme con le creature marine, col cielo immenso e soprattutto la vicinanza con l’Eterno.
Poi, è preciso quando discorre del suo dolore al petto, dice che la relativa radiografia pare rappresenti uno scafo privo dell’ossatura, proprio come una nave appena impostata sullo scalo del cantiere d’allestimento. Quella fitta gli era stata causata dalla violenta reazione della ruota del timone di uno dei suoi velieri che aveva visitato con dei conoscenti: durante una repentina burrasca, una delle “caviglie” lo colpì al petto violentemente.
Una competizione velica; il vento modificato dalla prima barca influenza negativamente con i suoi “rifiuti d’aria” (in rosso) la navigazione della seconda, ritardandola e costringendola comunque ad effettuare manovre che la penalizzano
La descrizione dell’incidente è fatta da Giovanni in modo prettamente marinaresco, come in effetti è l’inizio di una competizione tra due velieri. Quello di Bevilacqua doveva entrare in porto di premura, davanti però gli si parò un’altra unità concorrente che, con i suoi “rifiuti d’aria” causò la mancanza di vento a quella di Giovanni. Questo meccanismo di togliere il vento è ancor oggi molto utilizzato nelle tattiche di regate veliche.
Nave goletta “Sarina”; dipinto conservato al Civico Museo Marinaro “Gio Bono Ferrari” di Camogli
Un’altra situazione che rivela la meticolosa esposizione del testo marinaresco è quando l’armatore parla appunto del veliero del suo incidente: era un “brigantino goletta”, cioè una nave a due alberi, diremmo la classe minore rispetto a quella del modello nel suo scagno (che ne aveva tre), ma che sempre goletta era per via delle vele auriche (trapezoidali) su uno o due alberi di poppavia. Il fatto che le sue unità siano golette e non brigantini completi, ci fa intendere il limite dei suoi traffici, anche se numerose navi golette attraversarono comunque gli oceani.
Emblematica è la scena di quando Bevilacqua riceve buone notizie: d’istinto si reca verso il modello a parete ed accenna ad accarezzarlo, come se fosse un’amata creatura.
Porto di Camogli negli anni ’30. Il cerchio indica lo scafo del veliero utilizzato per le riprese del film “Colpi di timone” di dieci anni dopo (Archivio Ferrari)
La battuta iniziale del titolo si riferisce alle navi “belle” da passeggeri di quel tempo: Conte Biancamano, Conte Grande, etc., e Giulio Cesare: anche in questo frangente il protagonista sottolinea perciò la sua indole di crudo uomo di mare.
Gilberto Govi venne a Camogli in due occasioni artistiche: la prima (1942) riguardò la versione cinematografica della stessa “Colpi di timone”, adattata secondo le esigenze di scena; in quella pellicola, fu utilizzato lo scafo di un bel veliero che rimase ormeggiato a Camogli per molto tempo, anche senza alberi, all’ultimo utilizzato come deposito portuale. La seconda fu nel 1951, nuovamente nella parte del protagonista di “Il diavolo in convento”, che narrava le vicissitudini (infine risoltesi) di un gruppo di pescatori a San Fruttuoso in tempo di guerra.
Da capitani, ci piace terminare qui l’incontro con il celebre Govi menzionando una sua battuta: “Il mare bisogna impararlo in mare, su un veliero! Quello sì che è navigare!”.=
Bruno Malatesta