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Competere in mare

Chiunque desideri scorrere in agile lettura le pagine della nostra storia velica s’imbatterà in quelle situazioni dove inauditi primati venivano staccati dai nostri Capitani. Nella seconda metà ‘800 si partiva – per esempio – dal Perù insieme con altri velieri e ci si contendeva il primo posto in viaggi transoceanici sino al Regno Unito o all’Estremo Oriente.


Oceano Atlantico meridionale: velieri in rotta competitiva

E non finiva lì: il veliero più rapido appariva in una sorta di classifica aggiornata sui periodici marittimi del tempo, ufficializzando così quell’usanza leale.
Questo ci fa intendere che l’andar per mare a quel tempo era anche motivo di orgoglio, anzi era pur evidente che l’equipaggio intero contribuiva a quei successi: difatti il lavoro di squadra su una nave a vela richiedeva – come oggi – l’impegno di tutti, nessuno escluso.

Nave da crociera in procinto di salutare la Città di Camogli e la sua tradizione marinara (2005)

Un nostro Socio anziano ricordava – in tempi più recenti – le famose gare tra navi mercantili, specie quelle da crociera, che gareggiavano per aggiudicarsi l’unico posto disponibile in un comune porto d’approdo. A quel tempo vigeva la regola del “chi primo arriva…”, perciò, vuoi per movimentare della merce o per sbarcare degli ospiti in esclusive destinazioni esotiche, le competizioni erano piuttosto “vivaci”. Se una nave mercantile arrivava in ritardo non le restava che attendere il suo turno in rada; la nave da crociera, seppur con qualche complicazione e disagio, se la poteva cavare ancorando sempre in rada, però poteva almeno effettuare il servizio navetta. Ai nostri tempi, possiamo constatare che gli aspetti “cavallereschi” dell’epoca della grande vela sono comunque scomparsi.

Imbarcazioni plananti sull’acqua anni fa, durante un test dell’America’s Cup

Oggigiorno, rimane in parte di quel contesto l’America’s Cup, la competizione che vede varie nazioni (l’Italia tra le prime) contendersi il primato di “barca a vela” più veloce. Quel confronto agonistico iniziò nel 1851, quando la detentrice del prestigioso titolo era appunto la goletta “America”.
Molto tempo è passato, non ci vuol molto a immaginare quanto la tecnologia abbia influito sulla costruzione delle barche e delle navi in genere. A noi, gente di mare, fa comunque piacere ascoltare ancora alla televisione parole come “fil di ruota”, “orzare” o “drizza” e magari constatare che l’ermetica terminologia nautica apre finalmente gli accessi anche a chi mastica poco delle sue espressioni.

Il principio idro/aerodinamico degli scafi AC partecipanti
all’America’s Cup degli ultimi anni

Le imbarcazioni che in questo periodo gareggiano all’America’s Cup hanno poco da spartire con le unità a vela di anni fa: basta confrontare un dato: con un vento in mare di 18 km/h, la barca riesce a “navigare” a 70 km/h, cioè quattro volte tanto… come è possibile senza usare mezzi di propulsione alternativi?
E’ “sufficiente” applicare degli alettoni mobili ai lati dell’unità e permetterle così di sollevarsi sull’acqua con una resistenza irrisoria rispetto al moto ondoso.
In pratica la barca “vola” sull’acqua anche con l’ausilio del timone “alettato” che, oltre la direzione dello scafo, favorisce anche l’immersione della poppa. Bene, si dirà, ma le vele saranno ben mosse con verricelli elettrici? No, l’energia idraulica è fornita da marinai ciclisti , “sepolti” in pozzetti laterali, che producono potenza con le loro pedalate!
Quindi, che piacciano o no, quelle regate sono davvero spettacolari. Forse non c’è più l’attività fisica (sostituita comunque dai ciclisti) e manca quell’andirivieni dell’equipaggio in coperta che maneggiava le “manovre correnti”, ma in compenso si ha la corretta percezione che tutte le operazioni per muovere quel bolide acquatico sono in fondo effettuate con la sola energia del vento.

Veliero ottocentesco appena fermo durante una calma equatoriale

Ecco, chiudiamo appunto col vento nella Coppa America: se non c’è almeno 13 km/h d’aria non si gareggia: “No wind – no party!”
E a noi, gente di mare, questo limite invalicabile imposto dalla Natura alla tecnologia, ci riporta alle tediose e rovinose soste in mare del 1800, nei pressi dell’Equatore, quando le navi a vela arrestavano la loro corsa nelle “calme”, inventandosi di conseguenza mille cose da fare per l’equipaggio.=

(immagini Archivio Capitani Camogli & Mario Malatesta)

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