Eh già, l’avevano intuito nel lontano 1818 che la loro professione poteva mutare dall’avventurosa e istintiva pratica dell’andar per mare a vela, a quella più tecnica e quasi asettica del navigare tramite una macchina.
Ma tant’è, il progresso doveva inesorabilmente procedere, magari sperando che il suo corso fosse almeno lento. E così fu: dal primo viaggio della nave a vapore di Fulton nel 1807 al decadimento costante delle vele passarono praticamente cento anni.
S’è detto 1818 poiché in quell’anno, a Genova approdò la celebre “Ferdinando I”, ovvero la prima nave a propulsione meccanica in servizio “regolare” nelle coste italiche. La reazione di molti Capitani e persone presenti a quell’evento, ricordano il famoso film di Kubrick “2001 Odissea nello spazio”: gli stati d’animo della gente variarono nel giro di pochi attimi: dal timore che quell’imbarcazione stesse “bruciando”, dalla meraviglia che suscitò il navigare contro vento, dall’estasi delle prospettive future di affari: nuovi macchinari, nuove manutenzioni e forniture, ulteriori assicurazioni, sviluppi professionali e soprattutto, nuove maniere per gestire l’impresa di navigazione.
Perciò ecco che, come nel film, quel nuovo tipo di nave ricordava un po’ la nota scena del lancio in aria della clava roteante che si trasforma in una altrettanto roteante stazione spaziale.
In quei cento anni il progresso navale fu difatti lento. Tanto che certi nostri armatori della seconda metà di quel secolo acquisivano velieri inglesi già a doppia propulsione e ne facevano smantellare la parte meccanica poiché ritenuta inadatta alla loro gestione dell’andar per mare. Come potevano i nostri businessmen – usi a condurre l’impresa di navigazione a livello famigliare – iniziare una nuova gestione che prevedeva – tra l’altro – la fornitura di parti meccaniche, approvvigionamenti vari, rispetto degli orari di arrivo e partenza?
Certo potevano trasferirsi a Genova, che in effetti aveva rinforzato la sua posizione economica, ma che avrebbe concesso comunque poco spazio a eventuali concorrenti in affari.
Quindi – a parte qualche notevole eccezione – l’armamento eolico camogliese crollò definitivamente, senza progredire con le nuove tendenze operative.
E i Capitani di mare seguirono quella lenta trasformazione. C’era cioè una minoranza di professionisti che aveva sì pratica delle navi a motore, ma la stragrande maggioranza apparteneva ancora all’esercizio della vela. Nel frattempo, si facevano strada altre figure professionali, prima fra tutte il Capitano di Macchina, il cui corso alla scuola nautica iniziò nel 1887.
Il Capitano del ‘900 trovò lavoro ancora sui velieri, generalmente sino al periodo post Primo Conflitto, cioè verso il 1920, poi si aprirono per lui gli imbarchi sui piroscafi.
Tra i vari candidati ad essere Capitani sui piroscafi, in quel periodo di transizioni, venivano favoriti quelli che provenivano dal comando delle navi a vela. Ciò perché, per loro, adattarsi alla nuova tipologia di imbarcazione era effettivamente più facile. La nuova sezione Macchina d’altro canto, aveva il suo da fare a mantenere i propulsori in perfetto ordine e ciò significava professionalità, revisioni dei macchinari, gestione dei pezzi di ricambio.
La Coperta era difatti meno impegnata con le complicanze meteorologiche: disponeva ora di bollettini radio, di comunicazioni via etere, si poteva seguire qualsiasi rotta e rispettare i tempi di ogni itinerario. Mentre la Macchina entrava in una professione nuova di pacca, la Coperta si trasformava: vista la maggior versatilità di viaggiare in tutte le direzioni, si fece subito strada il concetto di “ottimizzazione”: per esempio i consumi di carburante, oppure la scelta di rotte migliori, alternative ai venti periodici e libere da tempeste. La stessa organizzazione del lavoro in coperta era mutata: nelle prime navi a vapore le vele erano sì ancora presenti come mezzo ausiliario di propulsione, ma il personale si stava organizzando – per esempio – a manutenzionare gli apparati in ferro, metallo molto deteriorabile in mare.
Il Capitano aveva bene presente dal suo DNA il concetto di condurre una nave in qualsiasi epoca si trovasse, sapeva d’istinto quali erano le sue priorità ed era consapevole di come risolverle tutte. E così fece anche il Direttore di Macchina, il suo più prezioso collega nel gestire una nave, anche moderna.
Il resto è storia dei giorni nostri: le tecnologie ed economie navali si evolvono o mutano rapidamente e, con esse, la professionalità dei Capitani di Coperta e Macchina che deve essere sempre al passo dei tempi, specialmente utilizzando quell’eredità naturale che li ha costantemente resi consapevoli dai tempi di Fulton.=
(immagini archivio Capitani Camogli)