Come ogni anno l'U.N.U.C.I. (Unione Nazionale Ufficiali in Congedo d'Italia), Sez. di Chiavari con il concorso e il patrocinio oltre che del Comune di Chiavari, di Lavagna, di Sestri Levante, anche della Scuola Telecomunicazioni FF.AA. di Chiavari, ha bandito il 6° Concorso di Narrativa intitolato al chiavarese Ten.Vasc. Luigi Risso, decorato di Medaglia d'Argento e di Bronzo al V.M. inabissatosi con la torpediniera che comandava nel basso Adriatico nel 1940.
Il concorso è riservato a tutti i cittadini che prestano o hanno prestato servizio nelle Forze Armate dello Stato, alle vedove e agli orfani dei citati cittadini.
Gli elaborati premiati nel concorso 2008 dal titolo:
"Gli eroismi ieri e oggi " sono:
1° Classificato S.Ten. Vasc. ERNANI ANDREATTA, M.M., Membro della Società Capitani e Macchinisti Navali - Camogli;
2° Classificato Mar. S. UMBERTO MATTONE CC.;
3° Classificato Sovr.C. UGO SPINELLI, P.S.
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Il Socio
Ernani Andreatta |
Il primo premio é stato assegnato all'elaborato dal titolo: Falciato da ordigno infame – e… già era la pace (vedi in seguito).
Il protagonista del racconto è Silvio Santini, pescatore chiavarese, che non esita a buttarsi in mare, perdendo la propria vita, per salvare altri pescatori in difficoltà, pur sapendo bene che le reti impigliate per le quali essi chiedevano aiuto erano trattenute da un ordigno bellico inesploso fino a quel momento.
L’elaborato si distingue per la resa, a tratti poetica, del tragico avvenimento in cui la figura al pescatore emerge forte e potente pur nella sua serena semplicità che detta nel cuore e nella coscienza la necessità di porgere la mano a chi ne ha bisogno, in qualsiasi situazione. Pregevole è la ricostruzione del paesaggio fisico e umano che fa da sfondo alla narrazione in cui gli uomini, le donne, le case e, persino, le pietre dell'antico quartiere degli Scogli vengono rievocati e quasi resi plasticamente come in un immaginario presepe vivente in cui anche i piccoli gesti di tutti i giorni parlano di valori autentici e di profonda umanità.
La cerimonia avrà luogo nella Scuola Telecomunicazioni FF.AA. di Chiavari alle ore 10 di Venerdì 10 Ottobre. Alla cerimonia di premiazione seguirà la consegna dai diplomi a 19 Soci Benemeriti dell'U.N.U.C.I. Sez. di Chiavari (vedi il comunicato stampa).
Elaborato di Ernani Andreatta - Primo classificato
CONCORSO DI NARRATIVA 2008 intitolato alla Medaglia d’Argento al V.M. LUIGI RISSO
(UNUCI – Scuola Telecomunicazione FF.AA. – Patrocinio del Comune di Chiavari - Comitato d’Intesa – Comune di Lavagna – Comune di Sestri Levante)
FALCIATO DA ORDIGNO INFAME - E….. GIA’ ERA LA PACE!
E’ il 24 Luglio 1945 e la guerra è finita da poco. Ho soltanto 10 anni, ma l'episodio che racconto è ancora nitido nella mia mente. Silvio Santini, soprannominato “Muneggia” (perché originario di Moneglia) è un pescatore del quartiere degli Scogli, situato all'estremo ponente di Chiavari. Santini è andato a pesca col figlio piccolo, Elio di nove anni, e si è seduto sul grande scoglio del Gruppo del Sale, caratteristico per la sua forma e posizionato tra Chiavari e Zoagli. Buttano su e giù la lenza e hanno quasi riempito il secchiello di pesci da scoglio, ottimi per la zuppa, perché il mare, ricchissimo di pesci, spesso dà i frutti desiderati.
Poco al largo c'è un peschereccio di Santa Margherita Ligure, che invece di spostarsi lentamente con le reti è sempre fermo, quasi fosse ancorato. Ad un tratto l'attenzione di Santini e di suo figlio è attratta dal richiamo di uno di bordo che, con gesti e grida chiede aiuto per ricuperare le reti che si sono impigliate sul fondo. Santini, vista la chiara richiesta di aiuto non esita a buttarsi in mare per raggiungere a nuoto il peschereccio in difficoltà.
Silvio Santini sà, ancor prima di arrivare a bordo, che non è uno scoglio a trattenere le reti sul fondo, perché conosce bene quei fondali, e sicuramente intuisce che si tratta di qualcosa d'altro….. tuttavia è pronto a "dare una mano". Per risalire alle motivazioni che spingono Santini a compiere questo gesto e capirne i risvolti psicologici e umani, ripercorro qualche tratto della storia del rione Scogli.
Dai primi decenni dell'ottocento si cominciano a costruire e a varare velieri maestosi e non si può tacere che la loro costruzione, portata avanti senza l’ausilio dell’energia elettrica e dei perfezionati macchinari odierni, è il risultato della grande abilità e delle straordinarie capacità delle maestranze e delle fatiche di quelli che devono modellare il legno soltanto con la forza delle loro braccia e col solo aiuto dei piccoli utensili di allora: pialle, ascie, “seroin” a 4 mani, sgorbie ecc. Il cantiere è ubicato esattamente al centro di Piazza Gagliardo e questa spianata antistante le case si popola di segantini, maestri d’ascia, calafati, chiodatori o semplici apprendisti e di legname naturalmente, che si trova sparso dappertutto. E così l’attuale Piazza Gagliardo, è comunemente chiamata “Ciassa di Barchi”. I Barchi, in gergo, sono appunto i grandi velieri. I titolari del cantiere navale, prima Francesco Gotuzzo detto “Mastro Checco” poi Luigi, il figlio, ed Eugenio il nipote detto “Mario”, permettono che le donne del rione raccolgano, alla fine della giornata, gli scarti del legname adoperato per le costruzioni, la cosiddetta “buscaglia” con la quale è possibile cucinare e scaldarsi. In pratica, da decine e decine d’anni si è formata una tradizione, un uso: le donne, la sera, non appena escono gli operai, entrano nel cantiere per raccogliere questi scarti nei loro capienti grembiuli. Questa consuetudine non consente l’uso di carretti o ceste o altri contenitori: si deve portare a casa soltanto quello che si pùò “stivare” dentro al grembiule.
Naturalmente, per scaldarsi e cucinare, ci sono anche altre fonti di approvvigionamento come il taglio di qualche albero nei boschi o nella pineta circostante o la raccolta della “ramaglia” che a seguito dei violenti temporali invernali il fiume Entella o il torrente Rupinaro, portano in mare e che le onde spingono sulle spiagge. Poi, verso gli anni 1930/35, le costruzioni navali di grandi velieri finiscono e il quartiere degli Scogli si trasforma quasi per incanto in borgo di pescatori, a parte qualche figlio di maestro d’ascia o calafato che diventa piccolo artigiano nella costruzione di gozzi o “lancette” o qualche altro che cerca fortuna all’estero. Nelle persone del rione rimane questa radice del grande valore umano che è la solidarietà, anche tra “padrone e operai” o, in termini attuali, “imprenditore e collaboratori”. Il tempo scorre lento ma inesorabile e talvolta capita nelle famiglie che qualcuno si ammali di polmonite che a quei tempi è una malattia spesso letale dato che la famosa pennicillina non è ancora stata scoperta.
L’unico modo per curare la polmonite è quello di somministrare all’infermo un “impiastro”, notte e giorno, in continuazione. Ciò rende necessario che al capezzale del malato si alternino più persone e per molti giorni, ma tutte le donne e gli uomini del quartiere prestano volontariamente questo servizio e si prodigano in mille modi per alleviare le sofferenze. Sovente, per aiutare chi si trova in difficoltà, si fanno collette in denaro e ciascuno dà quello che può pur sempre nelle sue limitatissime possibilità. Ma non manca qualche dissapore tra i pescatori, specialmente quando qualcuno, come si dice, “brucia la cala”, cioè butta le reti dove altri ritengono di averne più diritto per anzianità o consuetudine. Gli screzi però si spengono sempre con qualche “mugugno” senza mai arrivare all’odio e finiscono con l’immancabile bevuta di vino rosso, nelle osterie del posto. Ed anche quando il rione si consolida come borgo di Pescatori, la vita è sempre focalizzata in Piazza Gagliardo dove tutto è disordine ma vivacità, con il calderone per tingere le reti col tannino e la corteccia di pino macinata, i gozzi tirati a secco per manutenzione, i bambini che giocano e gridano liberamente, le reti stese ad asciugare al sole dove le donne ed anche gli uomini, sono intenti a ripararle con mano veloce con l’aiuto dell’alluce per tenerle tese e una “navetta” di legno o di osso con la quale si cuciono gli strappi.
Nessuno in questo posto chiude mai le porte a chiave. E quando di notte si approssima un fortunale, ed il mare “entra”, qualcuno corre sempre di porta in porta a svegliare tutti e tutti si affrettano sulla spiaggia per portare le barche al riparo cominciando da quelle più minacciate. E’ un presepio vivente che si mette in moto, come per incanto, con automatismo naturale. Altre volte quando, a qualsiasi ora, le barche arrivano a terra con troppi pesci “immagliati”, è un’altra causa di risvegli improvvisi per il rione, e nessuno si fa pregare per liberarli dalle reti. Spesso a operazioni ultimate si mangia un po’ di focaccia calda preparata dalle donne e Beppe Gambadilegno o Pastorino Tacchetti si incaricano di fare qualche sarda alla “ciappa” (sull’ardesia) e poi distribuiscono qualche bicchiere di vino che non manca mai.
Come in un negativo sfumato li vedo ancora passarmi davanti quasi tutti con i loro tipici soprannomi. L’ARPETTA, U BAGHE, U BALINN-A, U BARBAIA, U BAROLLA, U BARUDDA, U BASTIAN D’ORAN, U BERODO, I BERRUSCA, U BOA, I BUDDA, I BUGGIANEN, I BURCHETTIN, I BUSCAGGIN, U CAACHIN, U CHECCU DA PRA’, L’ERBU DE GABBA, U CIALAN, U CIALLA, U CIALOCA, U CICIA, U CICITA, U CICOLLA, U CICULIN, U CINQUANTA, U CIOCCA, U FURCHETTA, U FRANSA, U FREGNAN, U FUIN, U GALAIA, U GAZIA, U GHESSIMU, GIGIU O FERRA’, GIGIU DU MARESCIALLU, U GICCU, U GIUAN DA PANSA PINN-A, I GIUMOTTI, I LACIUSSI, U LOUSCIA, U LUIGENA, U LUGAIN, U MARIETTU DA CANTUNEA, U MENELICCHE, U MERICU, U MIGIO DE L’AFFIOU, U MOCCULU, U NEIGRU, L’OUEGGIA, U PACCIAN, U PASTU’, U PINCIN, U PEIN, I PESTELLU, I PIAN, I PICUSIN, PIPPU DA NINN-A, PIPPU U DRUO, PIPPU U MASSACAN, PISCUILLU, U PULITINN-A, U PULIGRINN-A, U PUMIN, U PUNCIU, U PUNTINN-A, A RICHETUN, U CACCACIOU, U SANGUIN, U SCIGNUA, U SCRUSCIN, U TAICIN, U TACCHETTI, U TOGNU, A TRIPULINN-A, U TRUN, U TROPPACIAPPI, U TUMAXU, L’OMBRIGHEA,
U VERGININ, U VURPIN.
Il punto di incontro delle donne sono i “treuggi” (lavatoi), che ora non esistono più. Ai lavatoi, le donne, ci vanno per lavare, pulire i pesci parlare e perché no, fare due “ceti” (pettegolezzi). La vita di questa piazza, il cui fondo è sabbioso come una spiaggia, è talmente legata al mare che tutte le cose ne portano i segni: gli intonaci delle case scrostati, i colori che non durano mai troppo a lungo, i gradini rialzati delle porte, le ardesie “smangiate” dal salino e friabili nei bordi, le barche con le scalmiere consumate e i paglioli opachi e stinti, il ferro delle porte arrugginito, gli scantinati che odorano di antico con il tipico e inconfondibile odore forte di acciughe sotto sale. E la gente, è semplice e solida, non comune, con il mare che ne scava le rughe ed il sole che ne colora la pelle. In quegli sguardi diversi, si legge la tenacia, l’onestà e soprattutto, retaggio antico, una innata ed esemplare solidarietà.
Ecco da dove viene Silvio Santini detto “Muneggia”, un posto unico nella storia di Chiavari dove la gente, anche con i pochi mezzi, e certamente non ricca, è particolare: compatta e solidale. Ecco perché Silvio Santini non esita un attimo; lascia il figlio sullo scoglio raccomandandogli di non muoversi e si getta a nuoto raggiungendo il peschereccio. Si è sicuramente reso conto che non si tratta di scoglio ma di un ordigno bellico, un siluro inesploso come si appura più tardi, tragico ricordo della terribile guerra appena conclusa. Gli occhi di suo figlio Elio che ha seguito il padre in ogni suo movimento, nell’attimo di un terribile boato come se esplodesse il mondo, lo vedono proiettato in alto all’improvviso, in mezzo agli spruzzi bianchi, enormi, come se stesse salendo verso il cielo, e poi il mare lo inghotte e si ricompone.
“Muneggia” scompare nel mare ribollente e pieno di schiuma, e non riemerge più. Ed il figlio impietrito e impotente e impaurito, come in un incubo, continua a fissare il mare. Silvio Santini, che quando muore ha solo 42 anni, lascia tre figli tutti piccoli e adolescenti. La notizia fa subito il giro del Rione e di Chiavari; qualcuno va a prendere il bambino sconvolto che è ancora sullo scoglio del Gruppo del Sale. Lo consegnano a uno del posto, Adelio Carlini, che lo prende per mano e lo porta verso casa. Tocca a Carlini dare la notizia alla moglie di Santini, Iside e agli altri due figli, Giorgia, che incontrano poco lontano, e all’altra sorella Elia. Dei cinque membri dell’equipaggio del peschereccio uno muore come Santini, due subiscono gravi ferite ma si salvano, un’altro ferito leggermente ed uno solo rimane incolume. Il corpo dell’altro membro dell’equipaggio viene subito ritrovato mentre quello di Santini viene rinvenuto sul fondo del mare soltanto verso sera. I soccorsi vengono organizzati immediatamente da Cornelio Piaggio detto Bixiolla, un personaggio storico per il rione, con l’aiuto di due giovani, Benetti e Colombo che hanno costruito, tempo addietro una specie di primitivo scafandro per andare sott’acqua. Lo trovano con la testa appoggiata ad uno scoglio, sdraiato su un fianco, come se volesse dormire, dormire per sempre sul fondo del mare, che tanto amava. Portano il corpo del povero Santini a riva, nel rione Scogli e come d’uso in questi casi qualcuno vi stende sopra un lenzuolo. Rinaldo Zerega, un giovanissimo del rione che è nei pressi ne solleva un lembo ed ha come l’impressione che il corpo si muova. Chiama immediatamente aiuto e accorre subito Tonitto Vaccaro detto “Furchetta”, che nel rione fà un po’ da infermiere, e, come sperando in un miracolo, gli fa una iniezione per il cuore.
Naturalmente, per Zerega, si tratta di una impressione dovuta alla fortissima emozione. A quel tempo si muore anche così, semplicemente, eroicamente, per solidarietà o per “dare una mano”. Dopo tanti anni, il rione Scogli che ha preso connotati “moderni” e la gente è cambiata quasi completamente, nessuno ricorda più questo episodio. Alla famiglia Santini, molti anni dopo viene riconosciuta la morte del padre per causa di residuato bellico e pertanto le viene assegnata una piccola pensione come vittima di guerra. Questo mio ricordo vuole essere soprattutto un giusto riconoscimento alla memoria di Silvio Santini per ricordare un gesto così permeato di solidarietà, accaduto già in tempo di pace, pieno di contenuti umani, forse incomprensibili al giorno d’oggi quando i giornali citano spesso il mancato soccorso a gente che muore per la strada affollata. E anche Piazza Gagliardo è completamente cambiata! Specie in inverno è deserta, ma i vecchi del Rione Scogli, quei pochissimi rimasti, dove purtroppo credo di domermici includere, la ricordano ben diversamente: col suo vivace disordine e la sua irripetibile umanità.
La figlia di “Muneggia”, Giorgia chiamata più tardi affettuosamente “a Munegginn-a”, (la Moneglina) tutt’ora vivente ed in buona salute, è una bimba di pochi anni quando sua padre la lascia. Diciassettenne ne ricorda la fine con alcuni versetti che gelosamente conserva per tanti anni e che iniziano così:
…..nel tempo delle messi – come stelo di maturo grano, cadesti
falciato da ordigno infame – e…già era la pace!
I flutti si levaron alti a lambire il tuo volto
con il freddo ed ultimo abbraccio il mar ti accolse
e tu vagasti, vagasti…. |
Ernani Andreatta (10/10/2008)
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