SOCIETA' CAPITANI E MACCHINISTI NAVALI - CAMOGLI |
Il lupo di mare e l'automazione/The old salt and the automation |
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Parlare di automazione per noi che, essendo nati molto tempo fa, ci accorgiamo di essere abbastanza vecchi (l’ultimo compleanno ho notato che ho dovuto sostenere una spesa più alta per le candeline che per la torta), significa che la prima e unica automazione che abbiamo avuto modo di conoscere è stato lo sciacquone del bagno che, mediante un galleggiante regolava in positivo la sua funzione, ci procura qualche difficoltà. Certamente il nostro primo impatto con la realtà di bordo è stato del tutto particolare; infatti il Ponte di comando, simbolo della nostra professione, al confronto di quelli di oggigiorno, era un deserto: la ruota del timone con la trasmissione ad ingranaggi, un telegrafo di macchina con i soli comandi: ferma, adagio, mezza, tutta, avanti e indietro, due tubi portavoce, uno con il Comandante nella cabina sottostante e l’altro con il lontano locale macchina, che quando emetteva un lungo fischio di chiamata, alzava una nuvola di nero polverino, una cassetta con gli interruttori dei fanali di via, una maniglia per il fischio, il tutto racchiuso in una piccola garitta dove trovava posto appena appena il timoniere e una difesa dal vento di prua garantita da uno svolazzante tendaletto e, quando pioveva cappotta incerata, stivali di gomma e Sud Ovest in testa e pazienza. La mia esperienza in Macchina che ho provato essendo in possesso anche del diploma di macchinista è stata grosso modo la stessa: le caldaie a tubi di fiamma che bruciavano carbone, qualche manometro e termometro, una motrice che girava lentamente e si poteva controllare con il palmo della mano e poi la “farfalla” la valvola, manovrata a mano, che regolava l’afflusso del vapore quando l’elica emergeva dall’acqua per il beccheggio nel Gulf Stream. A proposito di automazione, il marinaio scrittore Vittorio G. Rossi aveva preso in considerazione il problema, ma forse troppo attaccato alle tradizioni, ne era uscito con una battuta: “anche un imbecille è capace di schiacciare un bottone”, senza pensare per nulla che quel bottone era stato pensato e creato da uomini intelligenti.
Conservo sempre nei miei occhi l’espressione quasi di terrore del vecchio nostromo della nostra Riviera, valido e capace, attaccato alla sua nave in modo ossessivo tanto che le rare volte che si recava in licenza, già col vestito buono della domenica, prima di scendere lo scalandrone era uso fare ancora una visita alla bassa prua per essere sicuro che nel locale tutto fosse a posto. Quando arrivò a bordo la pressa per impiombare i cavi di ferro, la guardò accigliato con la stessa espressione di un bambino a cui avessero rubato il giocattolo preferito. Ai miei tempi, il Direttore di Macchina avrebbe telefonato sul ponte facendo presente la sua anomalia e la sua necessità di fermare tutto per non incorrere in un certo danno. Io, valutata la situazione, consapevole delle clausole di una Avaria Generale che poteva provocare un danno certo, pur di evitare una totale perdita altrettanto certa, avrei dato o meno il permesso di fermare tutto salvando il motore e la nave. È anche da considerare che con l’automazione sono naturalmente spariti alcuni elementi che hanno fatto certamente la storia della Marina Mercantile. Con questo non voglio assolutamente pensare, né dire, che forse era meglio quando “a porta a s’arviva con o spaghetto e a seja fitu in lettu se n’andamo a riposase”, c’è solo, forse, il ricordo ed il rimpianto per la giovinezza passata e vissuta fra queste cose di mare fra tante tribolazioni. CSLC Pro Schiaffino - Direttore del Civico Museo Marinaro di Camogli - Tratto da Appunti di Storia dell'Automazione Navale di Silvano Masini e Gian Luigi Maggi - Caroggio Editore The old-timers amongst us (on my last birthday I noticed that the candles on my cake cost more than the cake itself) find ourselves in some difficulty when we have to speak about automation, since the first and only form we experienced in person was the head flushing system. Our first impact with life on board was certainly quite singular. Indeed, compared with today, the bridge - the symbol of our profession - was a desert: the helm with the gear transmission; the engine telegraph with just a few commands - Stop, Slow, Half, Full, Ahead and Astern; two voice pipes, one to the Master in his cabin below, while the other - connected with the distant engine room - emitted a long whistle when a call was received, producing a cloud of black coal dust; a box containing the navigation light switches; and a handle for the whistle. All this was enclosed in a small cabin which the helmsman just managed to fit into, while the only protection from a headwind was a flapping awning, and - when it rained - oilskins, rubber boots, a sou’wester, and plenty of patience. My experience of the engine room - I also had an engineer’s diploma - was more or less the same: the coal-burning flame tube boilers; some pressure gauges and thermometers; a slow-turning engine that could be controlled with the palm of your hand; and the hand-operated butterfly valve that regulated the steam input when the propeller emerged from the water because of pitching in the Gulf Stream. On the subject of automation, the seafaring writer Vittorio G. Rossi gave some consideration to the problem, but - maybe over-attached to traditions – he came out with a quip: “even an imbecile can press a button”, without thinking that that button had been conceived and created by intelligent beings. I can still see the expression of near terror on the face of the old bosun from our own Riviera, a strong, capable man, whose attachment to his ship was so obsessive that on the rare occasions he went on leave, before climbing down the gangway already decked out in his Sunday best, he used to pay a visit to the lower bow to make sure everything was in order. When the cable-splicing press arrived on board he looked at it with a scowl, like a child whose favourite toy had been taken away. After having seen and tried everything, and having had a certain amount of experience (experience, after all, represents the sum total of one’s mistakes, so a very experienced man is one who has committed very many mistakes), you cannot help but be enthusiastic about the full automation found on ships today. One situation which still needs to be dealt with however is the sudden, unexpected “Blackout” in a dangerous sea passage. In my days, the Chief Engineer would have telephoned the bridge to advise them of the problem and the need to close everything down so as not to incur any damage. Having assessed the situation, and aware of the rules relating to a General Average which could cause certain damage, I would have decided whether or not to give my permission for a general shutdown to save the engine and the ship in order to avoid an equally certain total loss. In no way do I wish to think, or say, that it may have better when “we shut the front door with a piece of string, and went to bed early in the evening to get some rest”; maybe it’s just the memories and regrets for a seafaring youth spent amidst so many tribulations. CSLC Pro Schiaffino - Director of the Civic Maritime Museum of Camogli - Taken from: Notes of Naval Automation by Silvano Masini and Gian Luigi Maggi - Caroggio Publisher |