SOCIETA' CAPITANI E MACCHINISTI NAVALI - CAMOGLI |
Practicos del Rio |
(testo di un Socio, tratto da "Novant'anni di mare", edito dalla Società Capitani e Macchinisti Navali di Camogli nel 1994)
Era un uomo alto e robusto di una certa età e mostrava un qualche cosa come di conosciuto, qualche cosa che non si sapeva cosa fosse, ma che si avvertiva immediatamente. Interseccion è così chiamata perché è ii punto d'incontro sul Rio de Ia Plata delle rotte dei bastimenti diretti al porto di Buenos Ayres o che si dirigono al Nord verso i fiumi Uruguay e Paranà. Il Paranà è il secondo fiume del Sud America, dopo ii Rio delle Amazzoni ed è navigabile per un lungo tratto anche per le navi de “marafuera”, vengono chiamate così le grandi navi che vanno al lungo corso.
La navigazione sul fiume è interessante e, a volte magnifica perché permette di attraversare una zona intatta, ancora selvaggia con segnalazioni appena accennate che obbligano i Piloti a una continua attenzione quasi a cercare d'indovinare i punti più adatti alla navigazione. Le grandi anse del fiume che scorre tranquillo, quasi mai la velocità delle sue acque raggiunge i 3 nodi, obbligano le navi a “randaggiare” gli alti arbusti che sorgono suile rive, dando l'impressione di dover passare attraverso di loro. I Piloti devono perciò essere abili e possedere come un sesto senso per poter viaggiare sicuri, benché il fondo costituito di molle fango comporti limitati pericoli di grandi danni anche in caso di incaglio. Appena giunto sul ponte di comando e saputo della nostra ascendenza genovese il Pilota dichiarô subito: “Alloa parlemose in zeneize e dammuse du ti, perchè nuiatri de Zena semmu come frae”. (Allora parliamo in genovese e diamoci del tu, perchè noi di Genova siamo come fratelli). Mi chiamo Caffaro perché sono nato a bordo di quel “pacchetto” della Società Nazionale di Navigazione durante il viaggio da Genova a Buenos Ayres. Mia madre aveva un pò barato dichiarando di essere incinta di pochi mesi per poter fare il viaggio, mentre la Compagnia di navigazione, per non correre rischi, pretendeva una dichiarazione medica che escludesse il pericolo di una nascita durante Ia traversata. II Pilota in effetti era di una simpatia fisica, istintiva ed accattivante, conosceva il Rio come le sue tasche ed era propenso ad esternare tutta la sua conoscenza sul fiume che, si vedeva, doveva amare profondamente, e che conosceva anche dal punto di vista storico e culturale; una vera enciclopedia di fatti e di notizie. Abitava alla Boca, ii “barrio” alla confluenza del Riachuelo dove il Rio de la Plata fa la Vuelta de Rocha, dove quasi tutti gli abitanti erano di origine genovese e diceva convinto: “l'è comme ese a Sottoriva a Zena”. (E come essere in Sottoripa a Genova). Naturalmente parlava di Genova per sentito dire, perché non aveva mai attraversato di ritorno l'oceano, ma aveva chiesto ed aveva studiato tanto da poterne parlare come se ci fosse veramente nato e vissuto. I Piloti imbarcati erano in verità due, chè il viaggio sino a Rosario era lungo e durava molto tempo e di norma usavano darsi il cambio, ma Caffaro disse subito che “una barca de Zena ghe a porto mi da solo.” (Una barca di Genova Ia porto io solo). Arrivati a Martin Garcia, che praticamente è il punto dove il Paranà si getta nel Rio de la Plata, Caffaro cominciò a mostrare l'isola, un ammasso circolare di granito, con lo stretto canale formato dalle due alte rive, dove ancora si indovinavano Ie mura di pietra e le feritoie per i cannoni e con commozione ci parlô del memorabile passaggio di Garibaldi che ebbe I'ardire e Ia capacità di forzare ii blocco che I'armata argentina aveva preparato, onde impedire alla marina uruguayana, di cui Garibaldi era ii Comandante in capo, di risalire ii fiume e portare aiuto agli insorti del Corrientes. E passò a descrivere la Constitucion, nome lungo per una goletta di 18 cannoni che permise al biondo Eroe di scrivere delle fulgide pagine di coraggioso valore e di gloria sul Rio Paranà. Il Caffaro raccontava il fatto e si vedeva che era fiero di poterlo raccontare perchè per lui una cosa era certa: tutto questo era stato possibile perchè Garibaldi era genovese e non per altro. Si informô sul menu del pranzo di mezzogiorno e saputo che c ‘era pastasciutta col pesto ne fu felicissimo raccontando che nella sua “Quinta” nella Pampas lui personalmente seminava aglio e basilico, che “non viene buono come dalle nostre parti, ma sempre meglio che niente”. Il viaggio sul fiume procedeva regolarmente e l'interesse era dimostrato dal fatto che gli ufficiali, terminata Ia guardia, anziché scendere in cabina, rimanevano ancora sul ponte attratti dai piacevoli racconti. E Caffaro a raccontare: qui si è invarato l”Augusta” di Zanchi, ma non era stato un errore del Pilota o del Comandante, era stato ii timone che era andato all'improvviso tutto alla banda e il bastimento abbrivato, si era piantato nel fango.Era carico di carne congelata imbarcata a Rosario al Frigorifero Armour, e dove gli inglesi per caricare montavano una specie di teleferica che portava i quarti di manzo direttamente dalle celle alla stiva con divertimento di tutti perchè risparmiavano una bella fatica, senza mai ricordare, però, che per montare Ia teleferica impiegavano più di una mezza giornata con altrettanta fatica.
L'incaglio, anzi l' “invaro” era stato un vero patimento perché, malgrado ogni sforzo, il tempo passava e non si riusciva mai, per quanti sforzi si facessero, a disincagliare il vapore. Finalmente si era riusciti a dar fondo a un'ancora trasportata in mezzo al fiume dalle due lance di bordo imbragate assieme e, anche per la marea che una buona ventolata da sud aveva ancora fatto aumentare, così che si era alla fine riusciti a riprendere Ia rotta e a discendere il fiume. Il racconto era stato molto più lungo di quanto riportato perchè al Caffaro piaceva entrare nei particolari e poi ricordava i nomi di tutti, dal Capitano agli Ufficiali e ai marinai, mentre per il nostromo, che era originario di Ameglia, aveva un'ammirazione spropositata dovuta alla grande capacità marinaresca dimostrata nell'occasione. “Ecco in questo punto che è uno tra i più stretti di tutto ii fiume, anticamente si tendeva una catena e chi voleva passare doveva pagare un pedaggio; avevano messo nome a quel passo “Obbligado” in quanto non si poteva fare a meno di passare di lì e pensare, diceva Caffaro, con fare sornione e saputo, che in brasiliano obbligado significa grazie! Ogni tanto il Pilota tirava fuori Ia “Bombijia” che era una zucchetta vuota nella quale veniva sistemata l'herba Matè e poi riempita con acqua bollente contenuta in un thermos; quindi attraverso una cannuccia che aveva l'imboccatura d'oro, si succhiava, (chupava in lingua castellana), Ia tisana dal forte sapore di fieno delle nostre parti che serviva ottimamente a calmare i nervi dicevano, e a far digerire i pasti abbondanti che sono un'abitudine generalizzata in Argentina, oltre che a schiarire le idee in testa. “Senza bombijia non potrei fare il pilota” diceva il Caffaro e il bello era che ogni tanto, con squisita generosità, invitava a “chupare un poco” anche a noi e diceva:, “non aver paura di mettere la bocca dove l'ho messa io perchè intanto ii boccaglio è d'oro, cioè puro e come tale, purifica ogni cosa”. II ragionamento non era condiviso, ma non si poteva fare a meno di “chupare” per non offendere il generoso pilota, anche se non appena possibile e non visti, si cercava di pulire in qualche modo la cannuccia. In Argentina osservare i “Gauchos” intenti a prendere il Matè intorno al fuoco è come assistere ad una cerimonia, ad un rito retigioso; può dirsi che sia l'occupazione nazionale più seria e più sentita. I tempi e i movimenti devono essere precisi e cadenzati; gli uomini lo preferiscono amaro, sintomo di maschilità, da non confondere in nessun modo col Matè dolce, per definizione femminile, che si addice ad una signora. E nell'offerta del Matè, specialmente dalle mani di una bella e picaresca Signora, può indovinarsi anche un linguaggio segreto: scottante come “mi corazon”, tiepido: “indiferencia”, freddo: “desprecio”. Come si puô immaginare ii viaggio proseguiva nel migliore dei modi e Pilota aveva sempre nuovi argomenti da trattare, come quello della navigazione su per ii Rio con i bastimenti a vela; che non era impresa da poco in quanto doveva vincere la corrente e per far questo, si doveva a volte aspettare anche diversi giorni che il vento diventasse gagliardo e soffiasse da Sud; ed ad ogni ansa del fiume si dovevano bracciare i pennoni e cercare di navigare ben radenti Ia riva per sfruttare Ie controcorrenti; certo era molto faticoso, ma a bordo s'incontrava gente valente e coraggiosa e si poteva faciImente conoscere quanto valessero gli uni e quanto poco gli altri. Diceva pure che il pilotaggio nel Rio era una cosa distinta in quanto nessun capitano, che non fosse argentino, poteva essere all'altezza di pilotare una nave sul fiume. Al momento Ia cosa mi apparve un po' grossa, ma studiandoci sopra mi resi conto della verità di quanto affermato dal Caffaro: a bordo avevamo carte del fiume, dell' Istituto Idrografico inglese ed erano anche abbastanza particolareggiate, ma non avremmo potuto certamente tener conto delle continue modifiche del fondale dovute ad infinite cause, come la quantità di pioggia caduta magari nel centro del Brasile, del vento che poteva rallentare o meno la corrente e della marea che, quasi impossibile a credersi, influenzava l'altezza dell'acqua del fiume anche a centinaia di miglia dal mare.
C'era poco da fare, bisognava riconoscere di essere completamente nelle mani del Practico, che per fortuna era il Caffaro, “Uno de Zena”. Raccontava anche dei suoi viaggi da Bajuano, ossia di quei piloti speciali che pilotavano lungo ii Paraguay e il Paranà delle grosse zattere di tronchi di legno che provenivano dalle foreste di Assuncion e che sfruttando soltanto Ia corrente scendevano per centinaia di miglia i fiumi sino al Rio de la Plata e di lì rimorchio di barcacce fino alle Barakas della Boca. A suo dire era una vita intensissima che metteva a dura prova Ia resistenza e la capacità della gente ed obbligava a una continua attenzione perché se perdeva il filo della corrente si correva il rischio di invararsi in qualche ansa; rimanerci per chissà quanto tempo non essendo, allora, disponibili lungo il fiume, specialmente nelle zone del Nord, molti rimorchiatori. Raccontava anche però delle lunghe ore in cui non c'era niente da fare in quanto il fiurne sonnacchioso scendeva lentamente tra le basse sponde disegnando una lunga retta nella pianura e la zattera sembrava un'isola scura tra le gialle acque che scorrevano tranquille in perfetta calma e c'era tempo di guardarsi intorno nella pianura sterminata dove Ia vita sembrava si fosse fermata nel caldo meriggio e di pescare con le lenze al traino prendendo a volte dei buonissirni “dorados”, dei “budeghi” e dei “besughi” deliziosi. Si navigava soltanto con Ia luce del sole, perchè nella notte i pochi segnali preparati dall'uomo, sparivano nel buio immenso e i bajuanos dormivano tranquilli nella “cabana” dopo aver ormeggiata la zattera a qualche albero della riva con una lunga catena, Durante ii tranquillo navigare c'era tempo di pensare e di osservare le sponde e di ascoltare fantasticando, la speciale chitarra Guarany che forniva lamentosi suoni hawaiani che facevano sognare a occhi aperti. La parola Bajuano proviene proprio dal verbo bajar che significa scendere abbasso. Era vita difficile, ma serviva per conoscere bene ii Rio: dal colore deII'acqua, piü o meno gialla, si poteva indovinare Ia profondità, dai gorghi e dai mulinelli la velocità del fiume, dalla presenza dei “mosquitos” fastidiosissime zanzare, la sparizione della corrente e molti altri particolari che solo una continua vita a contatto col fiume e con Ia natura poteva permettere di acquisire. Sulla zattera vi era una piccola capanna dove i bajuanos vivevano, dormivano e facevano da mangiare; attaccata ad una parete della capanna vi era sempre una mezzena di manzo avvolta in frasche e foglie, che serviva come monotomo pranzo e celia, came ben “asada”, arrostita, da cuochi speciali su di un fuoco alimentato da grandi ceppi di quebracho che bruciano come antracite inglese, accesi su di una larga lamiera posta sui tronchi a strati incrociati delta zattera. Ci possono essere dei bravi practicos anche senza aver fatto il Bajuano, però tutti i bajuani erano sicuramente dei bravissimi practicos, diceva ii Caffaro. Quasi senza rendercene conto si giunse a Rosario, il viaggio sul Paranà era stato piacevole per la presenza del buon Pilota e veloce perché la nave al mio comando era una bella nave con un potente motore che imprimeva una buona velocità; era come un bella donna, validissima e di grandi soddisfazioni; se si sapeva manovrare a dovere, era anche abbastanza grande e certe volte, per Ia giovane inesperta età del capitano, anche troppo grande. Nei pressi dell'importante porto per la caricazione del grano si avvicinò una pilotina con il practico portuale. Rosario è posto sulla riva destra del Paranà e sulle banchine, alcune consistenti in sole briccole infisse nel fondo fangoso, si trovavano i tubi attraverso cui scendeva il grano dal Silos nelle stive. La manovra è oltremodo facilitata dalla corrente che, in quei punti, ha la velocità di 2 o 3 nodi. Arriviamo una mattina di buon tempo e con calma di vento. Siamo destinati all'Unità 7, nelle vicinanze della stazione ferroviaria e Ia manovra, abbastanza semplice, consiste nell'avvicinarsi alla banchina e sorpassarla di mezzo scafo, dar fondo l'ancora di dritta in modo da agguantare al momento giusto per poi facilitare la manovra di partenza, lasciarsi scadere sino al punto indicato e quindi mandare i cavi a terra manovrando con l‘elica in modo da perfezionare l'attracco. II Pilota del porto, di una certa età, dà l'impressione di una solida esperienza e tutto si presenta nella massima normalità. II Caffaro saluta il collega e subito scende in cabina dicendosi molto stanco del viaggio. Se non ché, proprio mentre ci stiamo dirigendo sulla banchina, il Pilota, colpito da una necessità impellente, chiede concitato dove si trovi Ia toeletta e si precipita abbasso lasciandomi all'improvviso solo e sperduto a sbrigarmela. E' un momento di crisi dovuto soprattutto alla mancanza di esperienza e al trovarmi così inaspettatamente di fronte ad una imprevista difficoltà. lmparerò successivamente che questa è una costante del mestiere. Però siamo in ballo e dobbiamo ballare; la manovra si svolge regolare e tutto si risolve in modo positivo. Stiamo completando l'ormeggio quando ii Practico riemerge; ci eravamo quasi dimenticati di lui. “Desculpe Capitan, dice, ma è la prima volta che mi capita di manovrare con un barco “tan largo” e mi sono impaurito. Sa, ero abituato con le barchette e poi ho fatto per tanto tempo ii Bajuano... Quando ii Caffaro si rifece vedere, ben in ordine, rasato e con il vestito buono, non potei fare a meno, anche un pò risentito per quanto mi era capitato, di esternare le mie lamentele e poi, proprio da un decantato bajuano! Ma il Caffaro con un candore serafico e con un sorriso sornione ebbe il coraggio di dirmi con una malcelata furbizia e una faccia tosta ragguardevole: mia mi ghe l'aveivu ditu au pilotto che ti te de Zena, anzi de Carnuggi e che le u se puieva fià. . .“ (Ma io l'avevo detto al pilota che tu eri di Genova, anzi di Camogli e che si poteva fidare!). Lì per lì rimasi un pochino incazzato pensando a quello che avrebbe potuto accadere, ma poi mi fece, e devo dire, mi fa ancor oggi, veramente piacere aver ricevuto quello che forse il buon Caffaro intendeva come un complimento! |