SOCIETA' CAPITANI E MACCHINISTI NAVALI - CAMOGLI

La Marina e l'8 Settembre
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L'ARMISTIZIO DELL'ITALIA DELL'8 SETTEMBRE 1943 E Il DRAMMA DELL'AMMIRAGLIO CARLO BERGAMINI COMANDANTE IN CAPO DELLE FORZE NAVALI DA BATTAGLIA

Nelle condizioni di resa fissate dagli anglo-americani, era stato stabilito che al momento dell'entrata in vigore dell'armistizio, siglato a Cassibile il 3 settembre 1943, il governo italiano doveva dare ordine alla flotta, al naviglio mercantile e agli aerei militari di dirigere verso le basi degli Alleati e di distruggere le navi e gli aerei impossibilitati a partire per impedire che cadessero in mano ai tedeschi. Per l'attuazione di detti movimenti, pretesi dagli Alleati sotto la promessa che la consegna della flotta e degli aerei avrebbe permesso di concedere all'Italia condizioni di pace più favorevoli, furono consegnati al generale Giuseppe Castellano, che firmò la resa in nome del capo del governo maresciallo Pietro Badoglio, vari documenti. Tra essi vi era un promemoria del commodoro Royer Dick, capo di stato maggiore del Comandante navale alleato, ammiraglio Andrew Browne Cunningham, ove erano stabilite le rotte e le modalità tecniche per il trasferimento delle navi italiane nei porti sotto controllo degli anglo-americani.

Come è noto Badoglio e il Capo del Comando Supremo, generale Vittorio Ambrosio mantennero il più assoluto riserbo sui contatti con gli Alleati fino alla firma dell'armistizio, che essi stessi non sapevano quando sarebbe entrato in vigore poiché gli anglo-americani, non fidandosi, si erano riservati di farlo conoscere soltanto poche ore prima del loro sbarco sulle coste campane del Golfo di Salerno. A Roma, basandosi su una ipotesi di Castellano, si pensò che l'armistizio sarebbe entrato in vigore il 12 settembre, ma tale supposizione si dimostrò errata poiché, come vedremo, il generale Eisenhower, Comandante in Capo Alleato, nel corso del giorno 8 fece sapere che l'accordo con l'Italia sarebbe stato diramato nella serata.

Vediamo ora come l'ammiraglio de Raffaele Courten, Ministro e Capo di Stato Maggiore della Regia Marina, fu informato dell'armistizio, in base ad una lettera dell'allora Sottocapo di Stato Maggiore, ammiraglio Sansonetti, spedita nel dopoguerra al Ministro della Difesa Emilio Taviani, e nella quale riferì:

Che si trattasse di un' armistizio' fu comunicato al Ministro e Capo di Stato Maggiore della Marina – sotto il vincolo del più assoluto segreto, anche verso di me, suo diretto collaboratore – soltanto il 3, quando invece l'armistizio era già stato firmato. Le clausole navali – le sole veramente importanti – gli furono comunicate solo il giorno 6. Perciò la mattina del 7 de Courten portò al Comando Supremo – evolle essere accompagnato da me per testimonianza – una vibranteprotesta scritta per essere stata tenuta la Marina completamente all'oscuro di trattative che così direttamente la riguardavano.

Il generale Ambrosio rispose a de Courten che il “ Promemoria Dick” poteva considerarsi lettera morta, poiché era stato richiesto agli Alleati di poter concentrare tutte le navi alla Maddalena, e si poteva presumere che ciò sarebbe stato concesso, mentre in realtà, come avremo modo di vedere, fu nettamente rifiutata dagli anglo-americani, perché non prevista dai termini dell'armistizio.

De Courten prima di trasmettere l'ordine, confermato dal Re, Vittorio Emanuele III, di fare dirigere le navi verso i porti Alleati,il 6 settembre si consultò con il grande ammiraglio Paolo Thaon de Revel. Solo dopo aver ricevuto da quest'ultimo prestigioso rappresentante della Marina “ il consiglio di obbedire lealmente ” agli ordini che arrivavano dal Governo e dal Sovrano, de Courten informò degli avvenimenti il suo diretto collaboratore Sansonetti e lo incarico di convocare telefonicamente per il mattino seguente a Supermarina gli ammiragli comandanti delle squadre navali e dei dipartimenti.

Nella riunione che ebbe inizio alle ore 16.00 del 7 settembre, de Courten non fece parola dell'importante “Promemoria Dick”, che sarebbe stata una rivelazione dell'armistizio, ma nello stesso tempo cercò di far capire la situazione politica e militare che si stava evolvendo, dando istruzioni intese a fronteggiare la possibilità di un colpo di mano contro il Governo per riportare il fascismo al potere. “ Quali potessero essere le cause determinanti della minaccia tedesca – ha scritto l'ammiraglio Alberto Da Zara, allora Comandante della 5^ Divisione Navale di Taranto, nel suo Diario degli avvenimenti – il Ministro non disse né noi chiedemmo. Nondimeno non sfuggì a tutti che non si trattava delle solite direttive contornate di “se” e di “ma” cautelasi e prudenti; erano ordini precisi e perentori di un pericolo imminente che occorreva fronteggiare con la massima energia ”. Tali ordini, letti ai presenti da Sansonetti, ed autorizzati ad essere trascritti da ogni ammiraglio nel proprio taccuino, prescrivevano tra l'altro di trasferire, alla ricezione dell'ordine esecutivo “ Attuate misure ordine pubblico promemoria n. 1 Comando Supremo ”, tutte le navi nei porti della Sardegna , Corsica, Elba, Selenico e Spalato, e quelle mercantili nei porti a sud di Livorno e Ancona.

Con tale decisione gli alti responsabili del Governo e delle Forze Armate italiane, oltre a tentare logicamente di evitare la cattura del naviglio da parte dei tedeschi, cercavano di eludere le clausole dell'armistizio e del “Promemoria Dick”, che invece prescrivevano l'immediato approdo delle navi in porti sotto controllo degli anglo-americani; e ciò, indubbiamente, finì per rendere gli Alleati più dubbiosi ed esigenti nei confronti degli italiani. Nello stesso tempo si continuò ad ingannare i tedeschi, dal momento che lo stesso giorno 7 l'ammiraglio de Courten assicurò il feldmaresciallo Albert Kesselring, Comandante delle Forze Armate tedesche in Italia, che la Forza Navale da Battaglia dislocata nell'Alto Tirreno sarebbe salpata dalla Spezia e da Genova l'indomani o nella giornata del giorno 9 per intervenire contro il nemico, segnalato in movimento verso il Golfo di Salerno, in una battaglia dalla quale sarebbe uscita vincitrice o distrutta. E per rendere più plausibile verso l'alleato il convincimento che la flotta italiana si apprestava realmente ad affrontare l'ultima battaglia, de Courten il mattino dell'8 settembre inviò il capitano di fregata Virginio Rusca da Kesselring, a Frascati, per concordare, secondo norma già fissate da tempo, la protezione aerea rinforzata da assegnare alle navi italiane, prevista in 30 velivoli (dei quali 20 tedeschi e 10 italiani) per ogni turno di scorta.

Sulle discussioni di resa che si svolsero prima a Lisbona e poi a Cassibile , e che portarono all'armistizio tra gli Alleati e l'Italia, l'ammiraglio Carlo Bergamini, Comandante delle Forze Navali da Battaglia, rimase completamente all'oscuro fino al 7 settembre, quando fu chiamato a Roma assieme agli altri Ammiragli di Squadra e di Dipartimento. Da un colloquio che egli ebbe con de Courten e dalla lettura dell'estratto del Promemoria n. 1 del Comando Supremo letto da Sansonetti, l'ammiraglio Bergamini si rese conto che la flotta italiana, che egli stava preparando per affrontare l'ultima battaglia, non sarebbe andata all'auspicato e disperato combattimento contro la flotta britannica, quando fosse iniziata l'imminente invasione dell'Italia.

Bergamini, rientrò a La Spezia il mattino dell'8 settembre, con istruzioni che tra l'altro tenevano anche conto di un eventuale auto-affondamento della flotta, per non farla cadere in mano ai tedeschi. Questa ipotesi, da attuare all'arrivo della frase convenzionale “ Raccomando massimo riserbo ”, gli fu confermata da de Courten nel corso della mattinata, dopo che le navi avevano ricevuto l'ordine, compilato da Supermarina alle ore 10.00, di tenersi pronte a salpare in due ore. Ma poi, nelle prime ore del pomeriggio, dopo l'arrivo arrivò a Roma, alle 16.30, di un minaccioso ultimatum trasmesso dal generale Eisenhower, che chiedeva a Badoglio di assumersi subito tutte le sue responsabilità nel combattere i tedeschi e nell'appoggiare lo sbarco alleato a Salerno, e che fu subito dopo seguito, alle 17.00, dalla diramazione attraverso la radio di Algeri dalla notizia che l'Italia si era arresa senza condizioni alle Nazioni Unite, si verificò un radicale mutamento della situazione.

Alle 17.00 – riferisce nella sua relazione il generale Giuseppe Santoro, Sottocapo di Stato Maggiore dell'Aeronautica – viene intercettata “ una comunicazione relativa alla conclusione di un armistizio ”; notizia portata al Capo di Gabinetto del Ministro dell'Aeronautica (Renato Sandalli), generale Aldo Urbani. Santoro è presente. Viene chiesta conferma. Il maggiore Giovanni Vassallo, che si trova al Comando Supremo, conferma. In seguito a questa notizia venne subito ordinato di sospendere le azioni aeree contro gli anglo-americani, e di richiamare gli aerosiluranti in volo inviati contro i convogli diretti a Salerno. Nel contempo, alle 17.30, riferì il generale Ambrosio (Capo di SM Generale) alla Commissione d'Inchiesta per la mancata difesa di Roma, giunse l'ultimatum del generale Eisenhower a Badoglio, il quale “ dispose che si riunissero al Quirinale ” i capi politici e militari; riunione, non prevista, ma concordata con il Re e passata alla Storia come Convegno della Corona.

L'annuncio dell'armistizio doveva procedere l'inizio dello sbarco di quattro divisioni anglo-americane a Salerno, a cui partecipavano oltre 600 navi. Il piano dell'operazione anfibia, denominato “Avalance”, prevedeva che lo sbarco a Salerno avvenisse nelle prime ore del 9 settembre; e fu proprio sulla base di questo progetto che nelle discussioni dell'armistizio svoltesi tra i generali Giuseppe Castellano e Walter Bedell-Smith (il primo Capo dell'Ufficio Piani del Comando Supremo italiano e uomo di fiducia di Ambrosio, e il secondo Capo di Stato Maggiore del Comandante in Capo Alleato generale Eisenhower) era stato messo in chiaro che la notizia dell'entrata in vigore dell'armistizio sarebbe stata trasmessa da Radio Algeri sei ore prima dell'inizio dell'invasione. Un altro chiaro sintomo dell'armistizio era poi il bombardamento dei Comandi tedeschi di Frascati, che era stato attuato a mezzogiorno di quel giorno 9 da ben 130 fortezze volanti statunitensi B. 17 della 12^ Air Force. Venne invece a mancare, per motivi inspiegabili, un terzo avvertimento, quello della trasmissione di attività tedesche in Argentina, seguita da musica di Verdi.

L'ammiraglio Bergamini, le cui potenti stazioni d'ascolto a bordo delle sue navi avevano evidentemente intercettato le notizie diramate degli Alleati, dopo aver chiesto a Supermarina conferma della trasmissione di radio Algeri delle ore 17.00, ricevette dal Ministro della Marina l'ordine di recarsi a Malta per consegnare le sue navi agli anglo-americani, in quanto quella drastica misura era contemplata negli accordi dell'armistizio.

A questo punto la sua reazione, nel respingere una simile imposizione, fu estremamente violenta, tanto che, come hanno riferito l'ammiraglio Sansonetti e il generale Sandalli, Bergamini minacciò di fare affondare la flotta, oppure di dare le dimissioni, perché non intendeva andare a Malta “ a fare il guardiano delle navi da consegnare agli inglesi ”. In effetti la sua opposizione a recarsi a Malta continuò ad essere molto decisa, tanto che il Ministro della Marina, conversando nel pomeriggio dell'8 settembre con il collega dell'Aeronautica, riferì a Sandalli: “ Ho parlato con Bergamini. Non vuole partire. Minaccia di affondare le navi ”.

L'acceso scontro verbale tra Bergamini e de Courten, che prospettò al Comandante della flotta l'opportunità di “ partire al più presto ”, si interruppe quando il Ministro della Marina fu chiamato al Quirinale per il famoso Convegno della Corona, che fu rapidamente organizzato dopo il minaccioso ultimatum del generale Eisenhower. Nella riunione al Quirinale, che iniziò alle ore 18.00, mezz'ora prima che il generale Eisenhower, sempre tramite radio Algeri, desse ufficialmente comunicazione del concluso armistizio tra le Nazioni Unite e l'Italia, l'annuncio del Comandante in Capo Alleato, che secondo gli italiani anticipava la data dell'armistizio di quattro giorni, lasciò in tutti i presenti uno stato di costernazione e di angoscia. E questo perché, basandosi fiduciosamente su un ipotesi comunicata da Castellano, che aveva indicato l'entrata in vigore dell'armistizio probabilmente per il 12 settembre, ogni preparativo per opporsi all'ex alleato era stato pianificato per quella data. Ne seguirono accese discussioni, durante le quali parecchie personalità, tra cui lo stesso ammiraglio de Courten, si dissero propense a respingere l'armistizio; una proposta assurda, che fu respinta dai più ragionevoli, perché avrebbe portato l'Italia nel profondo di un baratro, rendendo furiosi i tedeschi e assetati di vendetta gli Alleati, che già stavano preparando, come immediata ritorsione, il bombardamento di Roma.

Nel frattempo, spiegando a Bergamini quale importanza avesse per il futuro dell'Italia la necessità che la Marina ottemperasse lealmente alle condizioni di armistizio, perché, si sperava, avrebbero influito nell'ottenere condizioni di pace più favorevoli per la Nazione , l'ammiraglio Sansonetti era riuscìto, almeno in parte, a mitigare l'ira del Comandante della flotta e quasi a convincerlo a partire con le sue navi per Malta.

Quando poi Bergamini nel tardo pomeriggio parlò al telefono con de Courten, rientrato in sede dal Quirinale, egli si riservò di dare una risposta affermativa dopo aver riunito i Comandanti della flotta per spiegare quello che doveva essere fatto per il bene della Patria.

(Occorre anche tener conto che la dichiarazione dell'armistizio portava ad ammiragli, comandanti ed equipaggi della flotta uno stato di tensione immensa, che l'ammiraglio Bergamini, come era suo dovere, dovette giustamente mitigare e rassicurare nel corso del pomeriggio, ed in particolare dopo l'annuncio dell'armistizio fatto da Badoglio alla radio, alle ore 19.15 dell'8 settembre.

Nel corso di due riunioni che si svolsero la prima alle 18.00 a bordo della corazzata Roma , la seconda alle 22.00 sulla Vittorio Veneto , presenti tutti i Comandanti delle divisioni e delle navi della flotta che si trovavano a La Spezia , Bergamini – sottolineando l'importanza della gravità della situazione e le misure da affrontare senza esprimersi con frasi esaltanti per l'attività futura della Marina come taluni hanno voluto far credere – face conoscere quanto sapeva degli avvenimenti in corso. Nulla disse sulla destinazione finale delle navi, ma soltanto che dovevano andare a La Maddalena , ove, in effetti, la flotta avrebbe dovuto restare durante la notte sul 10 settembre, e dove erano state inviate, tramite l'ammiraglio Bruno Brivonesi chiamato appositamente a Roma il mattino dell'8, le istruzioni definitive di Supermarina da consegnare, in busta sigillata, allo stesso Bergamini al suo arrivo.

Istruzioni, non rintracciate, e di cui, pertanto, non conosciamo il contenuto, ma che dovevano riguardare: la rotta da seguire per raggiungere i porti Alleati; i codici da impiegare nelle comunicazioni; i segnali da adottare, tra cui il famoso pennello nero da issare sugli alberi delle navi; e il comportamento da tenere con le autorità anglo-americane.

Occorre però dire, che nella prima riunione delle ore 18.00 Bergamini aveva specificato di non sapere quali sarebbero stati gli ordini che stava attendendo, poiché il tutto era subordinato alle istruzioni che l'ammiraglio de Courten avrebbe ricevuto dal maresciallo Badoglio. Istruzioni, sull'ordine di partenza della flotta, che stavano per essere impartite da Supermarina, e che, secondo quanto scrisse nella sua inconfutabile relazione, inviata a de Courten, il capitano di vascello Aldo Rossi, Capo Ufficio Piani di Supermarina, furono trasmesse per telefono allo stesso Bergamini alle 20.30, assieme alle “ condizioni di armistizio e l'ordine di eseguirle ”, facendo esclamare l'ammiraglio: “ Ora chi lo dice ai Comandanti ”. Era quest'ultima un'effettiva e inquietante preoccupazione, che Bergamini fu costretto ad affrontare nel suo secondo colloquio con gli ufficiali della flotta, chiedendo loro, se qualche comandante non si sentiva di partire, doveva dirlo subito. Tutti rimasero in silenzio.

Ad un ultimo colloquio telefonico tra de Courten e Bergamini, che si trovava sulla corazzata Vittorio Veneto , sulla quale alle 22.00 aveva convocata un'altra riunione dei Comandanti delle unità della flotta per spiegare loro il significato dell'armistizio e gli ordini che provenivano dal Re e dal Governo ai quali occorreva ubbidire lealmente, vi assistette l'ammiraglio Enrico Accorretti, Comandante della 9^ Divisione Navale . Il colloquio si verificò alle ore 23.00 e fu talmente burrascoso che Accorretti dovette chiudere le porte del locale in cui si trovava assieme a Bergamini, per non far sentire all'esterno le concitate parole del suo superiore che, continuava a rifiutarsi di partire. Questa testimonianza fu riportata, in una lettera spedita nel dopoguerra a de Courten, dallo stesso Accorretti, che scrisse:

Bergamini buon anima ti fece molto disperare, io mi misi a chiudere le porte perché ti parlava dal “Vittorio Veneto”…. Io assolutamente senza volerlo sentii tutto il vostro colloquio. Per calmarlo tu affermasti che andassimo a Maddalena dove si troverebbe il Re etc... Se come tu avevi ordinato facevamo con tutte le possibili regole di guerra il viaggio da te ordinato per Malta, accostando la sera come se andassimo altrove e procedessimo a Malta, forse si sarebbe evitata la fine della “Roma”.

Dovendo rispettare le clausole del “Promemoria Dick”, e per convincere Bergamini a lasciare La Spezia al più presto, anche per impedire che le sue navi potessero essere imbottigliate dai tedeschi, de Courten autorizzò il Comandante delle Forze Navali da Battaglia a trasferirsi con la flotta alla Maddalena, “ dove si sarebbe trovato il Re

Fu soltanto a questo punto che Bergamini dette al Ministro l'assicurazione che avrebbe ottemperato agli ordini ricevuti, e che sarebbe salpato per la Maddalena con tutte le navi disponibili, comprese quelle che si trovavano ai lavori.

In realtà quella della presenza del Re alla Maddalena era una scappatoia, fatta ad arte da de Courten al solo scopo di convincere Bergamini a partire. A quell'ora i paracadutisti tedeschi della 2^ Divisione, muovendo rapidamente da Pratica di Mare, avevano già occupato Ostia e Fiumicino. Essi pertanto minacciavano la strada per Civitavecchia – ove convergevano da nord aliquote della 3^ Divisione meccanizzata – nel cui porto dovevano arrivare l'indomani i cacciatorpediniere Vivaldi e Da Noli , per imbarcare il Re e il suo seguito – una cinquantina di persone con i membri del Governo – che avrebbero dovuto arrivare da Fiumicino con due veloci motoscafi. Ma il Sovrano – che in Sardegna non avrebbe più potuto usufruire della protezione della flotta in quanto gli Alleati pretendevano che le navi si recassero a Malta – si era invece portato al Ministero della Guerra, considerato più sicuro del Quirinale, da dove poi, alle 04.30 del 9 settembre, forse con il salvacondotto di Kesselring, sarebbe partito in macchina per Pescara, con il suo triste seguito di pavidi responsabili dell'armistizio, compresi i tre ministri militari, che abbandonarono Roma al suo triste destino, conclusosi con la resa ai tedeschi.

Essendosi Bergamini opposto tenacemente prima di accettare a portare le sue navi a Bona, ne conseguì per la flotta un tardivo ordine di partenza da parte di Supermarina, questa volta con destinazione, temporanea, La Maddalena. Tale ordine fu spedito alla corazzata Roma alle 23.45 dell'8 settembre, e subito dopo, alle 23.56, la Roma trasmise a tutte le navi, per mezzo del radio-segnalatore: “ Attivare pronti a muovere ”. Seguì poi, ma con un certo ritardo l'emanazione dell'ordine operativo di partenza, con destinazione la Maddalena , compilato dal Comando Squadra alle ore 02.00 del 9. Mezz'ora dopo le navi cominciarono a lasciare gli ormeggi. L'ultima a salpare, la corazzata Vittorio Veneto , uscì dal porto, seguendo la Roma e l' Italia , alle 03.40. Ciò avvenne dopo che le corazzate avevano ricevuto l'ordine, trasmesso alle 03.13, “ Salpate ”, a cui seguì alle 03.16, quello di “ Uscite immediatamente ”.

Sul ritardo della partenza della flotta l'ammiraglio de Courten ha scritto, testualmente, nella sua relazione: “ Bergamini ritardò la partenza da La Spezia perché volle che partissero anche le navi rapidamente approntabili . Questa tesi è stata poi sostenuta da quanto l'ammiraglio Sansonetti riferì nel dopoguerra al comandante Marc'Antonio Bragadin, affermando: Bergamini disse a de Courten che sarebbe partito portando “ con se tutte le unità in condizioni di navigare ”. Fu quindi “ Per questa ultima ragione ” che, “ probabilmente, la partenza della Squadra è avvenuta con un certo ritardo rispetto a quanto si prevedeva a Roma e anche la navigazione è stata più lenta di quanto non si pensasse e quindi l'arrivo nei pressi di Maddalena è avvenuto verso mezzogiorno anziché all'alba come si prevedeva.

Per quanto riguarda la possibile conoscenza del “Promemoria Dick”, da parte dell'ammiraglio Bergamini dobbiamo rifarci, come unica prova, a quanto nel dopoguerra ha scritto l'ammiraglio Sansonetti all'ex Ministro della Marina. Sansonetti che ricordando a de Courten quanto era avvenuto con Bergamini, nel pomeriggio dell'8 settembre, specificò: “ gli parlasti della necessità di eseguire le disposizioni del promemoria DICK ”, di cui “ Egli si mostro molto riluttante ”.

Il capitano di vascello Marini, comandante della 12^ Squadriglia Cacciatorpediniere, ha riferito nella sua relazione che l'ammiraglio Bergamini, parlando ai suoi ufficiali riuniti alle 22.00 sul Vittorio Veneto , informò che “ nella riunione dell'indomani mattina ” avrebbe trasmesso “ ai Comandanti eventuali nuove comunicazioni ”. Lo stesso Bergamini parlando per l'ultima volta, alle 00.30 del 9 settembre, con l'ammiraglio Biancheri, Comandante della 8^ Divisione Navale che si trovava a Genova, pur mostrandosi molto amareggiato, affermò che intendeva obbedire all'ordine di partenza, e poi aggiunse che vi sarebbe stata l'occasione di parlarne a lungo alla Maddalena. Da tutto ciò si comprende che egli era ancora molto fiducioso di restare in quell'ancoraggio della Sardegna.

All'incirca alla stessa ora, poco dopo la mezzanotte 9 settembre, l'ammiraglio Alberto Da Zara, Comandante della 5^ Divisione Navale dislocata a Taranto, avendo ricevuto da Supermarina l'ordine di trasferirsi a Malta, telegrafò al suo diretto Superione e Comandante in Capo delle Forze Navali da Battaglia, chiedendo “ordini”, e pertanto cosa dovesse fare. Nello stato di incertezza che attanagliava gli animi, la risposta imbarazzata che gli arrivò con molto ritardo dalla corazzata Roma fu quella di: “ Rivolgetevi a Supermarina ”.

***

Quando la sera dell'8 settembre i tedeschi seppero da radio Algeri dell'armistizio italiano, che si verificava nell'imminenza di uno sbarco nemico su vasta scala sulle coste italiane essi, particolarmente irritati, lo considerarono, come scrisse il Comandante della Marina Germanica in Italia, ammiraglio Wilhelm Meendsen-Bohlken, “ un meschino tradimento ”; opinione che noi personalmente condividiamo, se non altro per la forma con cui il voltafaccia si verificò senza dignità, abbandonando spudoratamente i tedeschi per schierarsi apertamente con gli Alleati. Tuttavia, pur essendo assetati di vendetta, i tedeschi non si trovarono in condizioni di reagire a massa con l'aviazione contro i porti dell'ex alleato durante quella notte, né poterono celermente farvi affluire le truppe in tempo per impedire la partenza delle navi italiane. Ciò, in effetti, permise alle navi della flotta di prendere il mare dai principali porti della penisola italiana, in ottemperanza alle tassative disposizioni dell'armistizio, contenute nel noto “Promemoria Dick”, diramate nelle prime ore del 9 dall'ammiraglio Sansonetti.

L'ammiraglio di squadra Raffaele de Courten, Ministro e Capo di Stato Maggiore della Marina, all'atto di partire per Pescara al seguito del Re aveva lasciato Sansonetti a Roma a dirigere Supermarina, con l'ordine di “ Far seguire lealmente le clausole dell'armistizio ”. Ciò fu dallo stesso Sansonetti raccomandato a Comandi e navi, specificando: “ Con questa leale esecuzione la Marina renderà ultimo altissimo servizio al Paese ”. Subito dopo il Sottocapo di Stato Maggiore fece trasmettere le modalità di esecuzione contenute nel “Promemoria Dick”, aggiungendo di propria iniziativa e con libera interpretazione di quanto sostenuto in quel documento, la frase: “ Ricordate che non è prevista cessione di nave ne ammainata di bandiera ”. Con ciò, indubbiamente, egli contribuì a rassicurare tutti quegli ammiragli e quei comandanti che erano restii ad accettare l'armistizio, e che avrebbero preferito salvare l'onore della bandiera auto-affondando le proprie navi.

Al momento dell'armistizio, pur avendo perduto fino a quel momento ben 391 unità di ogni tipo, la Marina italiana disponeva ancora di un complesso navale ancora elevato, potendo contare (comprese le navi in riparazione ed escludendo quelle che si trovavano in costruzione) su 7 corazzate, 12 incrociatori, 27 cacciatorpediniere, 51 torpediniere, 25 corvette, 66 sommergibili, Vi era poi un gran numero di unità minori ed ausiliarie, senza contare le numerose navi in costruzione nei cantieri. Come abbiamo detto, i due nuclei principali delle Forze Navale da Battaglia dell'ammiraglio Bergamini erano dislocati nel Mar Ligure, alla Spezia e a Genova, e nello Ionio, a Taranto. In quest'ultimo porto erano in piena efficienza, agli ordini del comandante della 5^ Divisione Navale, ammiraglio Alberto Da Zara, le corazzate rimodernate Andrea Doria e Duilio , con tre incrociatori leggeri ( Cadorna, Scipione e Pompeo ) e alcune unità di scorta. Alla Spezia era invece concentrato il grosso della flotta, con le tre moderne e potenti corazzate della 9^ Divisione Navale (ammiraglio Enrico Accorretti) Roma , Vittorio Veneto e Italia , sei incrociatori, dei quali però soltanto il piccolo Attilio Regolo e i tre leggeri della 7^ Divisione Navale (ammiraglio Romeo Oliva), Eugenio di Savoia, Aosta e Montecuccoli erano efficienti – trovandosi in riparazione gli incrociatori pesanti Bolzano e il Gorizia – e a cui si aggiungevano per la scorta appena otto cacciatorpediniere in grado di prendere il mare. A Genova vi era invece la 8^ Divisione Navale (ammiraglio Luigi Biancheri), con i due incrociatori Giuseppe Garibaldi e Duca degli Abruzzi , mentre altri due cacciatorpediniere, il Da Noli e il Vivaldi , si trovavano in rotta per Civitavecchia; destinazione che non fu raggiunta perché, quando il mattino del 9 settembre il Re Vittorio Emanuele decise di andare a Pescara, con i membri della corte e del governo, le due siluranti furono deviate per la Maddalena.

Il mattino del 10 settembre, le navi di Taranto raggiunsero tranquillamente Malta, seguite nei giorni successivi dalla corazzata Giulio Cesare e da altre unità minori e ausiliarie salpate dai porti dell'Adriatico. Contemporaneamente le torpediniere e le corvette del Tirreno andarono nel porto di Palermo, occupato dagli statunitensi. Mentre i trasferimenti di tutte quelle navi si svolsero tranquillamente, le unità della Forza Navale da Battaglia di La Spezia , che si erano ricongiunte a nord della Corsica con i due incrociatori dell'8^ Divisione Navale provenienti da Genova, dovettero affrontare la minaccia della Luftwaffe di base negli aeroporti della Francia meridionale.

Vi si trovava dislocata, alle dipendenze del generale Johannes Fink, la 2^ Divisione della 3^ Flotta Aerea (generale Hugo Sperle) il quale, agendo in conformità con l'ordine operazione del piano “Achse” che specificava per la Luftwaffe “ Le navi da guerra italiane che fuggono o provino a passare dalla parte del nemico debbono essere costrette a ritornare in porto o essere distrutte ”, impartì alle unità dipendenti l'ordine di attacco. In effetti, dopo l'avvistamento, da parte dei ricognitori, delle navi italiane che, dirette alla Maddalena, scendevano a ponente della Corsica, Fink decise di attaccarle subito con il 100° Stormo da Bombardamento, i cui bimotori Do. 217 dei gruppi II. e III./KG.100, comandati rispettivamente dal capitano Friz Hollweg e dal maggiore Bernahrd Jope, erano armati con le nuove bombe antinave a razzo PC 1400 X, a caduta libera, e Hs. 293, radiocomandate.

Quando il mattino del 9 l'ammiraglio di divisione Bruno Brivonesi, Comandante della Marina della Sardegna, comprese che la Forza Navale da Battaglia, dovendo proseguire per Bona, poteva evitare la sosta alla Maddalena, propose a Supermarina di inviare alla corazzata Roma le istruzioni con un mezzo veloce a sua disposizione; ma l'ammiraglio Franco Giartosio, Capo Ufficio Operazioni di Supermarina – forse perché non sapeva cosa volesse fare l'ammiraglio Bergamini che non aveva dato il ricevuto a quattro messaggi inviatigli – confermò a Brivonesi di consegnare le istruzioni dopo l'arrivo della flotta, la cui sosta alla Maddalena (fuori dai recinti) doveva essere breve, come risulta dai messaggi scambiati da Brivonesi con la Roma .

Sulla mancata diramazione alla flotta di alcuni cifrati ricevuti dalla Roma da Supermarina con tabelle non in possesso dai Comandi di Divisione, l'ammiraglio Oliva, Comandante della 7^ Divisione Navale è stato alquanto polemico; ed ebbe anche il sospetto, rimastogli dalla partenza da La Spezia fino al momento dell'affondamento della Roma , che l'ammiraglio Bergamini intendesse autoaffondare le navi. Alla stessa conclusione era arrivato anche il comandante Nicola Tedeschi, amico di Bergamini, al quale lo stesso ammiraglio aveva confidato: “ Intendo portare la flotta in un ancoraggio italiano o in un altro ancoraggio al di fuori di ogni estranea ingerenza. Non consegnerò le navi al nemico ”.

La decisione di far sostare la flotta alla Maddalena, che contrastava nettamente con l'ordine impartito dal Comando Alleato di raggiungere Bona (“Promemoria Dick”), fu seguita da avvenimenti imprevisti e drammatici. Infatti, nella tarda mattinata del 9 settembre, mentre la flotta italiana si stava avvicinando a quella prima destinazione, si verificò, evidentemente per scarsa vigilanza e per pressappochismo precauzionale e difensivo, l'occupazione del Comando della base da parte di un piccolo nucleo di soldati tedeschi , sbarcati da cinque motozattere che si trovavano in rada. Immediatamente informato per telescrivente da Brivonesi, l'ammiraglio Sansonetti ordinò alla Forza Navale da Battaglia, di puntare direttamente su Bona, dove era in attesa un nucleo di unità britanniche della Forza H, comprendenti le corazzate Warspite e Valiant .

Ma vediamo quale fu la successione degli ordini ricevuti da Bergamini, da Supermarina, primi di invertire la rotta per Bona.

Alle 11.05 Supermarina trasmise per macchina cifrante, onda 55 e precedenza PAPA (Precedenza Assoluta sulle Precedenze Assolute), il seguente fondamentale e incontestabile messaggio, diretto al Comando delle Forze Navali da Battaglia, alle divisioni navali 5^, 7^ e 8^, e all'incrociatore Cadorna : “ Partite subito per Malta con navi alle vostre dipendenze……091009 ”. Poi, alle 12.30 del 9 settembre, Supermarina trasmise “ A tutti ” di raggiungere i porti alleati, specificando: “ Per FF.NN. principali del Tirreno località è Bona ”. Quindi, con messaggio 97424, fu trasmesso ai cacciatorpediniere Vivaldi e il Da Noli , che erano stati inizialmente destinati a raggiungere Civitavecchia per imbarcarvi il Re: “ Proseguite per Bona aggregandosi possibilmente Forza Navale da Battaglia (alt) Milano [parola convenzionale per indicare che gli ordini arrivavano dall'ammiraglio de Courten] – 132909 ” .

Alle 14.27, la corazzata Vittorio Veneto intercettò un telegramma diretto ai cacciatorpediniere Vivaldi e Da Noli e al Comando delle Forze Navali da Battaglia, in cui Supermarina ordinava: “ Uscite da Estuario [Stretto di Bonifacio] et affondate tutti mezzi tedeschi che eseguano traffico Sardegna Corsica (alt) 134909 ” . Infine, alle 14.24, era stato trasmesso alla Roma : “ SUPERMARINA 23124 – Davanti Bona troverete nave inglese o americana che indicherà porto da raggiungere (alt) Armamento principale et lanciasiluri per chiglia (alt) Libertà azione per artiglieria contraerea in caso attacco… [gruppo indecifrabile] ostilità da parte aerei (alt) Ciascuna nave alzi pennello nero o bleu scuro della massima grandezza possibile (alt) Disegnare sui ponti grandi dischi neri come segnali riconoscimento per aerei (alt) In caso di incontro navigazione notturna accendere fanali di riconoscimento e segnalare con elettrosegnalatore gruppo Gamma Alfa 134509 ” .

L'ammiraglio Bergamini, che con le sue unità in lunga linea di fila si apprestava ad entrare da ponente nello Stretto di Bonifacio per raggiungere la Maddalena , alle 14.24 effettuò prontamente l'inversione di rotta ad un tempo, trasmettendo a Supermarina “ Dirottamento fatto ”. L'inversione di rotta della squadra per 180° era stata appena ultimata quando, con le navi che dirigendo a nord-ovest manovravano nel Golfo dell'Asinara, si svilupparono gli attacchi dei Do. 217 del KG.100, che complessivamente impiegò fino a sera 28 velivoli. Essi cominciarono ad arrivare sull'obietto poco prima delle ore 16.00, quando, avvistata allo zenit dal cacciatorpediniere Legionario che dette l'allarme, sopraggiunse una prima formazione di undici aerei Do. 217 del III./KG.100, guidati dal maggiore Jope. I velivoli tedeschi, che erano ripartiti in tre pattuglie, volando ad alta quota ( 6500 metri ), quindi al disopra della portata dei modesti pezzi contraerei delle unità italiane, sganciarono le loro speciali bombe razzo “PC. 1400 X” nel momento in cui passarono sopra la perpendicolare delle navi.

Tre bombe andarono a segno, due sulla corazzata Roma e una sul castello dell' Italia (ex Littorio ). Su questa ultima nave da battaglia, che per una falla a prora imbarco 800 t d'acqua, i danni non furono gravi, mentre invece fatali risultarono quelli della Roma che fu centrata a distanza di cinque minuti dai Do. 217 della 11^ Squadriglia del III./KG.100, guidati dal capitano pilota Heinrinch Schmetz. Per la deflagrazione dei proietti della torre sopraelevata prodiera di grosso calibro, determinata dalla seconda bomba –radio-guidata sul bersaglio dal sergente Eugen Degan e che arrivò a segno alle 15.52 dopo una discesa di 52 secondi – la corazzata, orgoglio della cantieristica italiana, s'inclinò sul fianco destro, con il torrione piegato in avanti e sormontata da un'altissima colonna di fumo determinata dall'esplosione e dagli incendi. Quindi, spezzandosi in due tronconi, affondò rapidamente, alle 16.29, portando nell'abisso 1.392 uomini, compreso il comandante della nave, capitano di vascello Adone del Cima, l'ammiraglio Bergamini e tutti gli ufficiali del suo Stato Maggiore.

Altra vittima degli aerei tedeschi, che rimasero sull'obiettivo fino al tramonto mancando di poco molte altre navi, fu il cacciatorpediniere Vivaldi (capitano di vascello Francesco Camicia), che assieme al gemello Da Noli (capitano di fregata Pio Valdambrini) aveva ricevuto l'ordine di raggiungere la Maddalena e poi di ricongiungersi alla Forza Navale da Battaglia, impegnando ogni nave tedesca incontrata tra la Sardegna e la Corsica. In questa loro azione offensiva, inseguendo con il loro tiro alcune motozattere, i due cacciatorpediniere finirono sotto il fuoco di batterie costiere tedesche, e poi su uno sbarramento minato tedesco, posato il 26 agosto 1943 a sud di Capo Fenu dai posamine Pommer e Brandemburgo , in cui il Da Noli affondò, con gravi perdite umane. Ma anche la sorte del Vivaldi era segnata. Danneggiato da proiettili d'artiglieria, esso ricevette verso sera il colpo di grazia dall'esplosione in prossimità dello scafo di una bomba radiocomandata Hs. 293, sganciata da un Do. 217 del II./KG.100.

Il sopraggiungere della notte mise fine agli attacchi dei velivoli tedeschi, che si conclusero con la perdita di un solo velivolo del II./KG.100, finito in mare sulla rotta di rientro alla base. Nel frattempo la Forza Navale da Battaglia proseguì per Bona, lasciando indietro l'incrociatore Regolo , tre cacciatorpediniere e due torpediniere, che si trovavano impegnati a recuperare i naufraghi della Roma . Dopo molte incertezze, anche perché i Comandanti delle sei navi ritennero che gli ordini ricevuti fossero falsi, fu presa la decisione di raggiungere l'isola di Minorca, nell'arcipelago delle Baleari, ove l' Attilio Regolo e i cacciatorpediniere Mitragliere , Fuciliere e Carabiniere rimasero internati fino al gennaio del 1945. Fecero eccezione a questa sorte le torpediniere Impetuoso e Pegaso . Sbarcato il personale che avevano a bordo, le due unità si autoaffondarono in alti fondali al largo della costa della baia di Pollensa, per decisione dei loro comandanti, capitani di fregata Riccardo Imperiali e Giuseppe Cigala Fulgosi.

Nel frattempo, subito dopo l'affondamento della corazzata Roma , il dramma che aveva attanagliato l'animo di Bergamini si ripercosse anche negli ammiragli delle sue divisioni navali. Nell'assumere il Comando della Forza Navale da Battaglia, quale ufficiale più anziano, l'ammiraglio Oliva, che si trovava sull'incrociatore Eugenio di Savoia , non aveva alcuna idea di dove le sue navi dovessero dirigere, anche perché, non disponendo delle tabelle dei cifrari impiegati dal Comando Squadra, non era riuscito a decifrare i messaggi diramati da Supermarina alla Roma in cui vi era l'ordine di raggiungere Bona. Sapeva soltanto che i cacciatorpediniere Da Noli e Vivaldi , inizialmente diretti alla Maddalena, avevano ricevuto l'ordine di proseguire per Bona aggregandosi possibilmente alla Forza Navale da Battaglia. Pertanto si trovò in uno stato d'incertezza sul da farsi, che ebbe però breve durata poiché gli venne subito in aiuto l'ammiraglio Accorretti, il quale, avendo assistito la sera dell'8 settembre alla forte discussione tra Bergamini e il Ministro della Marina, sapeva quale fosse la esatta destinazione della flotta. Il Comandante della 9^ Divisione Navale trasmise pertanto ad Oliva il seguente messaggio: “ Da intercettati sembra dobbiamo andare Bona 160509 ” .

Tuttavia l'ammiraglio Biancheri, che si trovava sull'incrociatore Duca degli Abruzzi e che assolutamente non condivideva l'idea di andare a consegnare le navi agli Alleati, segnalò ad Oliva: “ Ti propongo raggiungere La Spezia ”. La risposta a Biancheri del nuovo Comandante della Forza Navale da Battaglia, espressa dopo una lunga riflessione, fu alquanto tagliente e decisa, segnalando: “ Non posso accogliere proposta. Mi atterrò e ti prego di attenerti ordini Sua Maestra ”.

L'ammiraglio Biancheri ha spiegato lo stato d'animo che lo angosciava, e che lo aveva indotto a consigliare il rientro della flotta alla Spezia, scrivendo nel suo rapporto di navigazione:

L'ordine di consegnarci al nemico ci ha stordito. Il primo annuncio dell'armistizio aveva provocato un'effimera gioia negli equipaggi ma senza che qualche Ufficiale la sentisse in cuor suo; e subito l'aveva sopita: ma in noi Comandanti l'idea di arrendersi, come i tedeschi a Scapa Flow, sembrava ordine ineseguibile. Il trasferimento alla Maddalena ci dava un certo affidamento che consegna non vi sarebbe stata; ma dopo l'occupazione tedesca di La Maddalena , il dietro front della squadra e l'affondamento della ROMA, l'ordine di dirigere su Bona toglieva qualunque dubbio. A prima impressione quest'ordine pareva ineseguibile. In ognuno dei capi si è svolta una tragedia interiore e qualche indecisione affiorò anche nei sottoposti: Tutti abbiamo deciso di eseguire l'ordine perché ci veniva dal RE.

A superare ogni stato di incertezza e a convincere Oliva di prendere la rotta per Bona contribuì poi, alle 18.40, l'ordine n. 57847 di Supermarina in cui si affermava: “ Confermo ordine Bona ripeto Bona precedentemente trasmesso ”. La deviazione di rotta della flotta, avvenne intorno alle ore 21.00, dal momento che, allo scopo di disorientare eventuali ricognitori tedeschi inviati a sorvegliare le mosse delle navi italiane, l'ammiraglio Oliva, dopo l'affondamento della Roma e dovendo ancora fronteggiare gli attacchi aerei della Luftwaffe, aveva continuato a dirigere verso occidente fino al sopraggiungere della notte.

Il mattino del 10 settembre, dopo una navigazione notturna alquanto tranquilla, le unità italiane incontrarono nella zona di appuntamento a nord di Bona le corazzate britanniche Warspite e Valiant , la cui scorta comprendeva sette cacciatorpediniere, tra cui il Vasilissa Olga e il Le Terribile in rappresentanza delle marine greca e francese, invitate a partecipare all'atto di resa dell'ex nemico. Quindi, le navi italiane proseguirono la rotta per Malta ove, passando per il Canale di Sicilia, terminarono la loro tragica odissea il mattino dell'11 settembre.

Nelle ore che precedettero l'arrivo a Malta si verificò per i Comandanti delle Divisioni Navali uno stato di disagio, determinato da un messaggio di Supermarina in cui, dopo aver trasmesso a tutte le unità i dettagli per raggiungere i porti Alleati, riferiva: “ Clausole armistizio non dico non contemplano cessione abbassamento bandiera consentono però accogliere personale controllo ”.

Questa segnalazione, che era giustamente interpretata come una vera temuta resa al nemico, rese nuovamente perplesso l'ammiraglio Oliva sul da farsi, e fu nuovamente osteggiata dall'ammiraglio Biancheri. Questi, in seguito ad una segnalazione di Oliva che “ in mancanza di istruzioni ” particolareggiate da parte di Supermarina, chiedeva ai Comandanti della 8^ e 9^ Divisione quale fosse la loro opinione sulla parziale preventiva distruzione degli archivi segreti, rispose che quella misura si poteva per il momento evitare poiché nel caso si fosse determinato, da parte degli Alleati, un tentativo “ di occupazione violenta ” delle navi, si doveva rispondere anche con “ l'autoaffondamento ”. Oliva, mostrando di condividere quell'estrema misura, compilò allora un inequivocabile ordine di autoaffondamento da diramare al momento opportuno a tutte le unità dipendenti. Dovette però nuovamente mettere in riga il dubbioso Biancheri il quale, alle 05.30 dell'11 settembre, prese l'iniziativa di trasmettere al Comando della 7^ Divisione Navale un messaggio dal carattere drastico con il quale, proponeva di autoaffondare le navi subito dopo l'arrivo a Malta, trasmettendo l'ordine convenzionale “ massimo riserbo ”.

L'ammiraglio Accorretti, che al pari di tutti i comandanti delle navi aveva intercettato il messaggio di Biancheri, trasmesso dal Duca degli Abruzzi con onde ultracorte, fece sapere: “ Dopo matura riflessione non dico non condivido parere Comando 8^ Divisione. Quest'intervento del Comandante della 9^ Divisione Navale fu forse decisivo per convincere Oliva a rispettare gli ordini ricevuti da Supermarina, e con un messaggio privato per Biancheri egli tagliò corto ad ogni ulteriore discussione, ribadendogli: “ non posso accogliere proposta. Mi atterrò e ti prego attenerti ordini Sua Maesta .

All'arrivo a Malta e avendovi trovato a Marsa Muscetto le navi della 5^ Divisione Navale, giunte da Taranto, l'ammiraglio Oliva si mise subito a disposizione dell'ammiraglio Alberto da Zara, al quale furono trasmessi dall'ammiraglio Cunningham gli ordini per il disarmo delle navi, che comportarono, da parte di specialisti britannici, l'asportazione degli otturatori dei cannoni. A quel momento apparve chiaro a tutti che si trattava di un vero e proprio atto di resa, anche se ancora non comportava sulle navi l'abbassamento della bandiera.

In definitiva, la Regia Marina pagò duramente l'illusione di ottenere, consegnando la flotta agli Alleati, condizioni di pace più favorevoli, perché quelle condizioni erano legate a quanto gli italiani avrebbero potuto fare per impedire agli anglo-americani di impantanarsi in una guerra, poi chiamata “di liberazione”, che secondo alcuni malinformati sarebbe addirittura iniziata in Sicilia, dimenticando o facendo finta di ignorare che l'Esercito italiano combatteva per difendere l'isola. La verità è ben altra, dal momento che gli Alleati non intendevano allora combattere nella penisola. Vi furono poi costretti perché non ricevettero dalle Regie Forze Armate quasi nessun aiuto, come gli anglo-americani speravano, in primo luogo per agevolare gli sbarchi a Salerno e per il controllo dell'Italia centrale; ragion per cui gli Alleati finirono per maledire il giorno in cui il generale Castellano si era presentato ai delegati del generale Eisenhower per trattare la resa. Questo fatto finì per indispettire non soltanto il Comandante in Capo delle forze Alleate, ma soprattutto le diplomazie di Londra e di Washington, degli statunitensi in particolare che non mitigarono mai, nei confronti dell'Italia, la punizione della resa incondizionata pretesa fin dalla conferenza di Casablanca del gennaio 1943.

Ne conseguì che l'armistizio, ratificato a Malta il 28 settembre dal maresciallo Badoglio, con condizioni ancora più dure di quelle fissate a Cassibile, pretese il disarmo e la smobilitazione di molte navi per un lungo periodo, e non permise alla Regia Marina di partecipare alle molte operazioni alleate di sbarco e di appoggio al fronte terrestre – o di scorta ai grandi convogli degli anglo-americani che percorrevano il Mediterraneo combattendo contro gli aerei e i sommergibili tedeschi – relegando le unità italiane soltanto a compiti sussidiari: ossia praticamente a fare i facchini, come più volte è stato scritto, per la causa degli Alleati, mentre gli altri, comprese le poche e modestissime navi polacche, greche e Iugoslave, combattevano.

E questa triste e umiliante situazione si verificò nonostante il 23 settembre 1943 fossero stati fissati a Taranto, tra gli ammiragli de Courten e Cunningham, alcuni accordi di collaborazione che sembrarono allora incoraggianti, poiché stabilivano fossero utilizzate “ al più presto ” le unità da guerra minori italiane per i trasporti alleati e nel lavoro di scorta. Particolarmente umiliante fu il trasporto, con l'impiego degli incrociatori, del sale dalla Sardegna sul continente; e alquanto discutibile quello del rimpatrio dei prigionieri dal nord Africa che, invece di utilizzare gli incrociatori con tutti i rischi di navigazione di guerra che ne derivavano, avrebbe potuto svolgersi con semplici navi mercantili.

Il trattato di pace del 1947, non tenne assolutamente conto dei tanto decantati meriti cobelligeranti e resistenziali dell'Italia, poiché, occorre dirlo, furono di natura particolarmente modesta. Esso poi dette alla Marina il colpo finale, costringendola a cedere molte navi alle nazioni vincitrici (Russia, Francia, Grecia, Iugoslavia e perfino alla Cina) e a smantellare tutti i sommergibili e, fatto forse ancora più doloroso, le corazzate Italia e Vittorio Veneto , che erano state confinate dopo l'armistizio ai Laghi Amari del Canale di Suez, dove rimasero inutilizzabili per tutto il restante periodo della guerra.

Francesco Mattesini
Roma, 8 Settembre 2007

(articolo inserito in Wikipedia il 27 marzo 2007) http://it.wikipedia.org/wiki/Discussione:Roma_%28nave_da_battaglia_1940%29