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 Brigantino a palo “Cognati” collide con un iceberg nel 1908
(immagine archivio Capitani Camogli)

Nel 1908, il veliero camogliese Cognati (vedi sopra) era in rotta dal Perù a Gibilterra. Dopo aver doppiato l’Horn, urtò un iceberg: l’impatto compromise l’albero prodiero (il trinchetto) e danneggiò parte dello scafo. Eppure, l’equipaggio riuscì a raggiungere Montevideo, percorrendo oltre 1.130 miglia (circa 2.000 chilometri) più a nord, grazie alla propria esperienza e alla sostituzione di alcune parti semidistrutte. Fondamentale fu anche la disponibilità di pennoni e vele “di rispetto”: attrezzature in più rispetto al minimo indispensabile, pensate proprio per affrontare simili emergenze.(Nave a vela “Herat” in bacino, costruita nel 1877, armatori “Mortola & Bozzo” (San Rocco)

A oltre un secolo di distanza, quella traversata continua a dirci molto su cosa serva davvero in mare. Anche se oggi tutto è cambiato — materiali, dimensioni, tecnologie — tre elementi restano imprescindibili: una nave strutturalmente sana, persone preparate a reagire quando qualcosa va storto, e sistemi che garantiscano continuità operativa anche in condizioni difficili. Se anche uno solo di questi fattori venisse meno, il viaggio rischierebbe di non concludersi.
Sulle navi dell’Ottocento, la robustezza dello scafo si otteneva con legni come quercia e pino, e il fasciame veniva rivestito in lamine di rame per resistere alla corrosione marina. Gli scafi in ferro sarebbero stati poi adottati, inizialmente nei cantieri inglesi e americani a metà secolo, e solo a fine Ottocento in quelli italiani. Ma oltre ai materiali, era la tenuta dell’equipaggio a fare la vera differenza. È anche per questo che si parla di “Epoca eroica della vela”: marinai temprati che affrontavano burrasche, incendi, falle e persino ammutinamenti, contando su esperienza, forza fisica, coesione e spirito di sacrificio. Reagivano agli imprevisti senza sensori né automatismi: spesso improvvisando, sempre restando uniti.

Quanto alle dotazioni, qualche scorta in più c’era — vele, scialuppe, alberi di ricambio — ma l’idea di avere sistemi realmente alternativi e autonomi non era ancora nata o non era tecnologicamente attuabile. Grande nave da crociera in bacino (foto del Socio CSLC Roberto Volpi)

Nelle navi moderne, invece, la solidità è affidata a scafi in metallo, progettati geometricamente per resistere a enormi sollecitazioni. Anche la preparazione dell’equipaggio si è evoluta, adeguandosi alla complessità dei sistemi attuali: oggi il personale di bordo è formato con metodi teorici e simulativi avanzati molto diversi da quelli del passato. Nella scuola nautica di Camogli, alla fine dell’Ottocento, l’unica “simulazione” disponibile era l’albero di veliero piantato accanto al palazzo comunale, dove gli allievi praticavano le manovre di base.

Anche il concetto di sicurezza ha cambiato volto. Oggi, ogni funzione vitale della nave dispone di almeno un’alternativa pronta a subentrare in caso di guasto. Non si parla più solo di pezzi di ricambio, ma di vere e proprie architetture parallele. Il principio è semplice: anche in caso di avaria grave, la nave deve poter proseguire la navigazione senza dover evacuare chi si trova a bordo. Grande nave da crociera in bacino (foto del Socio CSLC Roberto Volpi)

Alcune unità moderne sembrano costruite con l’idea del “tutto doppio”: motori, quadri elettrici, sistemi di governo. Ma se la struttura non è affidabile, o se l’equipaggio reagisce con difficoltà, tutta quella tecnologia rischia di restare solo un’apparenza. Oggi a bordo si trovano apparati indispensabili come radar e GPS sostitutivi, generatori indipendenti, timonerie alternative, sistemi sdoppiati per comunicazioni, ventilazione, drenaggio e allarmi di rispetto. Sulle grandi navi passeggeri recenti è obbligatorio, tra l’altro, il sistema “Safe Return to Port”, che consente all’unità di rientrare autonomamente in porto anche dopo gravi danni alla propulsione principale. In queste unità, il “piano B” è parte integrante della struttura e tutto è progettato affinché un singolo guasto non comprometta la continuazione del viaggio.
Da parte nostra, constatiamo infine che, nonostante tutta questa tecnologia, nulla può sostituire la preparazione dell’equipaggio: i sistemi possono sì allertare, ma solo le persone reagiscono in modo coerente.
Il sapere marinaro, anche quello più antico, continua a essere insostituibile.Il Socio Raffaele Broggi sul ponte di una moderna nave da crociera

In chiusura, confessiamo di aver fatto il possibile per non pronunciare due termini altisonanti tanto usati quanto spesso abusati, ma erano proprio loro i protagonisti nascosti di tutto il nostro discorso.
Il primo è resilienza: la capacità della nave — e di chi la conduce — di non cedere, di reagire anche quando tutto sembra contrario.
Il secondo è ridondanza: ciò che una nave possiede in più del necessario, disponibile per prudenza, come sistemi doppi, scorte, alternative.
Due termini impegnativi forse, ma due idee fondamentali per comprendere che cosa renda davvero affidabile una nave, ieri come oggi.=

Bruno Malatesta

(ascolta un buon podcast a due voci su questo articolo)

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