Di Camogli marinara si è parlato tanto, e quasi tutto sembra già raccontato. Capitani e velieri, traversate oceaniche, approdi lontani e naufragi, vicende cittadine: sono storie ripetute e rivissute in mille modi. Chi le legge prova ancora il gusto genuino di immaginare terre lontane e insidiose, situazioni insolite, personaggi e navi straordinarie. C’è però anche chi, a forza di sentir nominare pennoni, brigantini e avventure passate, finisce col pensare che si tratti sempre delle stesse cose. E forse un fondo di verità c’è: la cronaca, a un certo punto, pare esaurirsi…
La storia però non è solo cronaca. Se i fatti hanno un numero pressochè definito, gli sguardi e le letture che possiamo trarne non hanno invece fine. Ogni generazione può tornare su quegli stessi episodi e trovarvi qualcosa di nuovo: non tanto un elenco di date, quanto un modo per capire meglio chi siamo.
Camogli, 1930 circa: albero per esercitazioni dell’Istituto Nautico, allora insediato nel Palazzo Comunale
Camogli custodisce un’eredità che va ben oltre i bompressi o i passaggi di Capo Horn. È come se due mondi continuassero a svelarsi agli occhi di chi vive la Città. In uno c’è quello tangibile, fatto di opere e istituzioni: il teatro, l’ospedale, le iniziative benefiche volute da armatori e capitani che seppero restituire alla comunità parte del loro successo. A ciò si aggiunge l’Istituto Nautico, che dalle radici locali si è trasformato, fino ad arrivare persino a istituire una sezione aeronautica, segno chiaro che la cultura marinara non è solo un reperto da museo, ma linfa viva, capace di adattarsi ai tempi.
Acquerello del Civico Museo Marinaro “Gio Bono Ferrari” di Camogli
Nell’altro mondo c’è poi un’eredità più sottile: il carattere dei Camogliesi. Qualcosa dei marinai di ieri sembra infatti sopravvivere nella gente di oggi. È un temperamento fatto di un essere interiore raccolto, protetto, ma con lo sguardo sempre rivolto agli orizzonti lontani. Si potrebbe dire che ogni “camoglino” custodisce la vita privata come una nave che affronta le onde agitate: un guscio saldo e riservato, in cui preservare riparo e sicurezza. Da questa indole nasce anche la capacità di proteggere i propri affari e di costruire con perseveranza, spesso in silenzio, cioè quel tratto vincente che rese possibile l’ascesa degli armatori dell’Ottocento e che non ebbe eguali nelle località vicine. Ne è prova il Civico Museo Marinaro “Gio Bono Ferrari”, massima espressione della regia definizione “Città dei Mille Bianchi Velieri”.
Monumento a Simone Schiaffino, Alfiere dei Mille e Capitano di Lungo Corso
Il carattere marinaresco della sua gente ha anche un’altra faccia: l’inclinazione ai “colpi di mano”, alla decisione rapida, all’audacia. A bordo servivano disciplina e prudenza, ma non bastavano. Occorreva anche il coraggio di rischiare. Simone Schiaffino, giovane Camogliese partito con i Mille e caduto a Calatafimi, ne è un esempio limpido. La sua scelta di gettarsi nella storia con slancio improvviso incarna quella miscela di misura e determinazione tipica della gente di mare.
Il “Dragōn”, davanti a Camogli
Oggi, parte di questa vena marinaresca continua a vivere anche in simboli cittadini come il “Dragōn”, imbarcazione progettata da Ido Battistone, che da anni meraviglia il pubblico con la sua imponente e suggestiva presenza iconica.
Passaggio di nave a vela davanti a Camogli
La cronaca di Camogli marinara oggi potrebbe sembrare conclusa, ma il suo significato resta invece aperto. Essere figli di una tale Città non significa solo ricordare navi e capitani, ma interrogarsi su come quei racconti e quell’eredità continuino a vivere nei caratteri, nei valori, nelle istituzioni e persino nelle pietre della città. È perciò una memoria pulsante che plasma l’identità collettiva e, in questo senso, il mare delle sue interpretazioni è davvero infinito.=
Bruno Malatesta































