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”…e quella, che nave è?”

Quando le navi mercantili passavano davanti a Camogli, questa domanda era una delle più frequenti. Chi conosceva bene le famiglie del paese cercava di capire chi fosse a bordo, mentre chi non aveva indizi si concentrava su altri particolari: i colori della ciminiera, qualche bandiera che sventolava, le scritte sulla murata del piroscafo e, infine… il nome sulla prua!
Insomma, ieri come oggi, le navi non sono solo mezzi di trasporto, ma anche simboli e marchi riconoscibili.

 Insegne dei vessilli del brigantino a palo camogliese “Prospero Schiaffino” del 1870. Da sinistra, in testa d’albero di trinchetto, il guidone dell’armatore; su quello di maestra, il vessillo della nave; sul palo di mezzana, il guidone del numero d’iscrizione alla Mutua Assicurazione Camogliese, “267”. Prospero Schiaffino s’identificava perciò nella triplice funzione di Capitano, Armatore e … veliero!

Da sempre, in mare, “farsi riconoscere” è una necessità. E non solo per motivi pratici: i loghi raccontano sicuramente la storia del commercio, dell’esplorazione e della globalizzazione.

Non è nemmeno necessario andare troppo lontano nel tempo: un po’ di anni fa, i grandi velieri sfoggiavano simboli per far sapere a chi appartenevano, che tipo di carico trasportavano o da dove venivano. Alcune comunità marinare dipingevano immagini sacre sulle fiancate delle loro navi per proteggersi da pirati e tempeste. Poi arrivarono i sigilli e gli stemmi per certificare merci e alleanze commerciali. E ancora, le insegne reali venivano tracciate sulle navi per affermare sovranità e prestigio su certe rotte, cercando di scoraggiare eventuali assalti. Anche i pirati avevano i loro vessilli: il famigerato teschio con le ossa incrociate, che sventolava sulle navi del Seicento, aveva una doppia funzione: farsi riconoscere e, al contempo, terrorizzare chiunque lo avvistasse.

Veliero “Montezuma” della compagnia americana “Black Ball Line”, attiva in Atlantico a metà ‘800 nel servizio postale tra New York e Liverpool. Notare il disco nero  sulla vela di parrocchetto (Pubblico dominio)

Arriviamo all’Ottocento, l’epoca che ci interessa di più.
Con l’espansione del commercio globale, nascono le prime grandi compagnie di navigazione, e con esse, i loghi ufficiali: leoni, unicorni per simboleggiare forza e orgoglio; rose dei venti dorate per evocare precisione e lusso; scudi con globo ed aquila, riflesso delle ambizioni coloniali di alcune nazioni. Sugli ultimi velieri commerciali, questi simboli venivano dipinti sulle vele più grandi e sugli scafi, con colori e strisce distintive.

Con l’arrivo delle navi a vapore, i fumaioli sbuffanti diventano una sorta di “firma galleggiante”: ogni compagnia aveva il suo colore, la sua striscia lungo lo scafo e, naturalmente, il suo logo. Quando una nave straniera entrava in un porto (e lo fa ancora oggi), issava le bandiere che ne indicavano la nazionalità e il marchio dell’armatore.

 La caratteristica ciminiera delle navi da crociera “Carnival” , vero e proprio logo, esposta dinnanzi agli uffici dell’azienda a Miami. In foto i Soci Bruno Malatesta e Domenico Rognoni

Rispetto ai tempi passati, oggi i loghi delle compagnie moderne hanno varie funzioni principali: ispirare fiducia, facilitare il riconoscimento in caso di incidenti e promuovere il commercio mercantile e il movimento delle persone.

Le navi che trasportano passeggeri sono vere e proprie vetrine di marchi e simboli. Dopo la Prima Guerra Mondiale, i grandi transatlantici diventarono hotel di lusso galleggianti. I loghi si fecero sempre più eleganti, evocando colori tipici della compagnia e nuove tendenze: onde stilizzate in Art Deco, scritte moderne, corone dorate, scudi rinascimentali, ecc. Tutti elementi pensati per evocare lusso, arte e raffinatezza. Il loro scopo? Alimentare il sogno di un viaggio ricco di comfort, lasciando così a terra le preoccupazioni quotidiane.
Qui inseriamo un esempio di come la nave stessa si trasforma in logo culturale-narrativo: succede con il “passaggio a Rimini” del transatlantico Rex nel film capolavoro “Amarcord” di Federico Fellini del 1973. 

Cartolina originale del transatlantico “Rex” (archivio Francesca Morgavi)

I marchi delle compagnie di navigazione mescolano tradizione e innovazione. Oggi sono spesso minimalisti: linee semplici, colori vivaci, perfetti per il mondo digitale. Spesso troviamo corone d’argento su onde stilizzate, ancore e simboli nautici rivisitati in chiave “eco-chic”, alcuni loghi includono anche codici QR. Inoltre, sempre più si inseriscono simboli legati alla sostenibilità, così da attrarre clientele più ampie. 

Crest di navi e aziende marittime esposti sulla nave MSC Magnifica (photo Raffaele Broggi)

Non possiamo dimenticare un altro aspetto interessante della simbologia marittima: il collezionismo.
Nel corso dei secoli sono arrivati fino a noi oggetti splendidi: targhe, placche, etichette da valigia, porcellane e posateria da ristorante di bordo e, naturalmente, i crest. Questi scudi da parete raccontano la storia grafica delle compagnie che li emettevano. Non li troviamo solo sulle navi: spesso vengono anche donati da porti o comunità costiere e riprendono gli stessi simboli di appartenenza, commercio e orgoglio visti prima. Vengono ancora oggi presentati quando una nuova nave viene varata o quando arriva in un porto per la prima volta.  

Più sopra,  logo di fantasia della “Priaguea Cruises”, che riflette le caratteristiche di un logo moderno, incluso il colore verde che ricorda la sostenibilità; qui sopra, il crest ufficiale della Società Capitani e Macchinisti Navali di Camogli

In definitiva, possiamo dire che questo mondo di simboli è davvero un’arte che unisce comunità e culture attraverso i secoli e gli oceani. Si tratta di un’arte viva, che continua a evolversi, dove ogni artista — che sia un grafico o un marinaio — lascia il proprio stile personale. E proprio come ogni forma d’espressione autentica, il valore di questi marchi cresce nel tempo: sono una vera eredità culturale, fonte d’orgoglio per chi li possiede e motivo di rispetto per chi li ammira.=

Bruno Malatesta

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