Il tema degli armatori camogliesi dell’Ottocento, tanto noto quanto centrale nella memoria della città, viene qui rievocato attraverso una selezione di immagini tratte dall’Archivio Ferrari, recentemente restaurate con moderne tecniche di recupero. Le fotografie, affascinanti documenti visivi di un’epoca, sono accompagnate da citazioni e riflessioni tratte da autorevoli storici locali. L’intento non è soltanto quello di interpretarle, ma anche di restituire loro nuove prospettive di lettura, offrendo al lettore l’opportunità di osservare il passato con uno sguardo rinnovato.
1. Il commercio sul mare
La loro vicenda moderna prende avvio con la spedizione di Bonaparte in Egitto, all’inizio dell’Ottocento, quando Camogli già deteneva circa il 30% della flotta sarda. In quell’occasione gli armatori parteciparono con ventisei bastimenti: soltanto tre fecero ritorno. Il governo francese li ricompensò per le perdite subite, consentendo loro di rinnovare la flotta con mezzi più moderni.
Da allora gli affari crebbero in maniera considerevole: uomini lungimiranti e intraprendenti, essi seppero proiettarsi sugli oceani con coraggio pionieristico. Ai più antichi pinchi, bombarde, polacche e sciabecchi, subentrarono progressivamente i brigantini a due alberi, che permisero traffici di maggior respiro. Parteciparono attivamente alle campagne in Algeria (1819), in Crimea (1853) e, dopo l’Unità d’Italia, ai grandi commerci del guano dal Perù e del legname dal Golfo del Messico, per citare solo alcuni esempi.
Nella prima metà del secolo gli armatori camogliesi trasportavano merci in proprio, mentre nella seconda metà iniziarono a farlo per conto di terzi: una svolta che ampliò le prospettive dei traffici. Un altro elemento significativo fu il cambiamento dei rapporti di comando: in principio il Capitano, una volta lasciata la costa, godeva di piena autonomia nelle scelte commerciali e di rotta; con l’avvento della telegrafia, a metà secolo, gli scambi tra nave e ufficio dell’armatore si fecero più frequenti, permettendo a quest’ultimo di esercitare maggiore influenza sulle strategie, sostenuto da informazioni aggiornate sui noli mondiali.
Non a caso, l’attivissimo ufficio postale di Camogli, aperto nel 1853 in Piazza Schiaffino, godette del privilegio del “pagamento posticipato” sulla ricezione di telegrammi commerciali.
2. Il sistema dei carati
Il costo di una nave era ripartito in ventiquattro parti, i cosiddetti carati. L’armatore ne deteneva in genere dodici, mentre gli altri dodici erano suddivisi fra il capitano, lo scrivano, il nostromo e vari membri dell’equipaggio, che diventavano così comproprietari del bastimento. I guadagni dei noli venivano ripartiti nella stessa misura: di conseguenza, dopo alcuni viaggi, un capitano poteva a sua volta divenire armatore, e i marinai accumulare abbastanza per acquistare una casa e garantire ai figli gli studi per diventare ufficiali. L’intera comunità camogliese traeva beneficio da questo sistema, che trasformava il successo marittimo in prosperità collettiva.
3. L’Unione Marittima Camogliese
La coesione di questa classe imprenditoriale si manifestò con la fondazione, nel 1853, della Mutua Assicurazione Camogliese, segno tangibile della reciproca fiducia. Nel 1868 nacque invece l’Unione Marittima Camogliese, vero nucleo dei “capitani d’industria” locali, che contribuirono in modo determinante allo sviluppo economico cittadino: ampliando il mercato dei noli, creando occupazione sia a bordo sia negli scali di costa, sostenendo al tempo stesso opere di filantropia.
Numerose furono infatti le iniziative a favore della popolazione cui gli armatori presero parte: la Casa di Provvidenza, il Teatro Sociale, il Civico Ospedale, la Casa dei Marinai. A suggellare i rapporti tra armatori e amministrazione comunale resta la nota fotografia dell’Unione Marittima, nella quale compare anche il sindaco Davide Olivari, artefice nel 1912 dell’abbattimento della prima fila di case sul fronte a mare.
4. I Capitani di Camogli
Capitani d’industria e capitani di mare: le loro strade si divisero formalmente nel 1904, con la fondazione della Società Capitani e Macchinisti Navali, che per statuto non ammetteva la presenza di armatori nei propri locali.
Emblematica è la fotografia del 1923 che ritrae un gruppo di anziani capitani brindare in una villa di Camogli: alcuni di essi, divenuti nel frattempo armatori, compaiono anche nel già citato scatto dell’Unione Marittima di tre anni dopo. La separazione delle carriere non incrinò tuttavia il legame con la città, poiché entrambe le categorie continuarono a sostenere iniziative comuni di carattere sociale e civile.
5. Fine di una stirpe
Non furono soltanto le congiunture storiche a segnare il destino di questa stirpe di imprenditori: sembrava che la loro stessa vocazione fosse quella di armare velieri forgiati in terra ligure, affidarli a uomini temprati dal mare, inclini ai colpi di mano e lanciarsi sui grandi oceani portando merci e prestigio per loro e per la Città. In quell’arte apparvero predestinati, e in quell’arte seppero primeggiare, dominando l’Ottocento con l’audacia e la perizia delle loro flotte.
Ebbero anche la lucidità – e forse la malinconica grandezza – di riconoscere l’inevitabile: che un’epoca stava volgendo al tramonto, e che il vento, loro antico compagno e sovrano capriccioso, non avrebbe più sospinto le navi verso l’infinito.
Così gli armatori, pionieri della vela, si arrestarono progressivamente nei primi decenni del Novecento. I loro capitani, insieme con gli equipaggi forgiati dal mare e dall’avversità, seppero invece piegarsi senza spezzarsi, salendo sui piroscafi di ferro e continuando a navigare gli oceani fino ad oggi.=
Bruno Malatesta
(- immagini Archivio Ferrari;
– commenti tratti da “La Marina Mercantile di Camogli” di G.B. Roberto Figari e Silvia B. Bonuccelli e da “Nomiaggi-Soprannomi degli Armatori e dei Capitani di Camogli” di Pro Schiaffino).































